Marina di Ragusa, il porto e l'inchiesta

Un porto, quello di Marina di Ragusa, costruito non si sa bene perché e non si sa bene con quali soldi. Un'azienda – la Tecnis spa – che si occupa di grandi appalti ma che utilizzerebbe materiale scadente e che, tra intercettazioni e collaboratori di giustizia, sembrerebbe essere vicina ai clan di Cosa Nostra. Nel mezzo, a Catania, i nuovi “quattro cavalieri dell'apocalisse”.


Ma questa storia, in realtà, inizia da una stalla. 104 chilometri più su.

La regola. Davanti a quella stalla ci sono due uomini, Enzo ed Angelo si chiamano, che stanno discutendo di affari. Tutti e due amano le corse, in particolare quelle dei cavalli. E forse è di quello che stanno parlando Enzo ed Angelo davanti alla stalla. O forse stanno parlando di qualcos'altro, dato che di lì a poco il corpo di Angelo verrà ritrovato da un pastore nelle campagne di Ramacca – nel catanese – insieme al corpo, anch'esso nelle stesse condizioni, di Nicola. Enzo, invece, verrà arrestato, insieme ad altre 30 persone, nell'ambito dell'operazione denominata “Arcangelo” della Direzione investigativa antimafia.

L'anno è il 2007 e quelli che abbiamo nominato fino ad ora sono affiliati del clan Santapaola. Enzo ed Angelo sono cugini di primo grado del boss Benedetto, meglio noto come “Nitto”. Nicola, ucciso insieme ad Angelo, di cognome fa Sedici e, dicono gli inquirenti, prima di essere ucciso era uno dei fedelissimi.
Di Nicola Sedici, per il resto di questa storia, non sentiremo più parlare. Enzo ed Angelo Santapaola, invece sono – secondo le intercettazioni della Dia – gli inventori della “regola”.

«La regola...gliela dobbiamo modificare. Devono avere una nuova regola...Noi soldi non ne vogliamo più, vogliamo un importo sui valori...vedete (riferendosi alle vittime, ndr) l'importo del lavoro e gli lasciate un pensiero a Messina e il pensiero a Catania». A parlare, riveleranno le intercettazioni, è Angelo, che sta spiegando al cugino Enzo come applicare un nuovo metodo di estorsione alle imprese catanesi che operavano a Messina. Sapevano, i due, che se l'operazione fosse andata a buon fine Enzo avrebbe avuto buone probabilità di diventare il rappresentante provinciale di Cosa nostra a Messina.
L'operazione, in sintesi, era quella di applicare un “extra” del due per cento alla Tecnis S.p.A., che per lavorare già pagava 3.500 euro al mese.

L'uomo che parla. C'è un uomo che quella impresa la conosce bene. E ne sta raccontando, seduto davanti ad una scrivania, a Francesco Massara e Giuseppe Verzera, che di professione fanno i pubblici ministeri. Quell'uomo racconta, anzi scrive, una trentina di pagine in cui sostiene che la Tecnis si sia rivolta a lui per capire a quali ditte rivolgersi per i lavori sul tratto dell'autostrada A20 – la Messina-Palermo – su cui l'associazione temporanea di imprese (o ati) di cui la Tecnis fa parte ha vinto l'appalto.

L'uomo che scrive non è uno qualunque. Si chiama Alfio Castro, e prima di iniziare a collaborare con la giustizia (dall'anno scorso) faceva l'imprenditore. Organico ai clan del barcellonese, come confermeranno poi le indagini della Direzione distrettuale antimafia di Messina che gli sequestra imprese e mezzi.
Ai pm Castro dice due cose importanti: dice che Giacomo Venuto, titolare della “Mediterranea costruzioni srl”, secondo lui «ha fornito materiale non corrispondente a quello che doveva fornire. Secondo i calcoli che allego il costo giornaliero dei camion di venuto è 486 euro. Se è vero che questi ha fornito a 6,50 euro non ha recuperato neppure le spese». Secondo Castro – considerato il collegamento tra i clan etnei ed i “mazzarioti”- un prezzo conveniente per tutti doveva essere fissato tra i 9 ed i 10 euro. Il materiale fornito da Venuto, sostiene Castro in sostanza, non era di qualità. E se ciò fosse vero, l'idea che con quel materiale scadente sia stato costruito un tratto autostradale dovrebbe dare da pensare.
Ma Alfio Castro dice anche un'altra cosa, forse ancor più importante. Dice, infatti, che Concetto Bosco «ha molti contatti con la criminalità organizzata».

Chi è Concetto Bosco? L'ingegnere è, insieme a Mimmo Costanzo, uno dei due titolari della Tecnis. E qui si apre un altro capitolo della storia.
Come scriveva Antonio Condorelli sul settimanale “S” Catania lo scorso maggio, Domenico Costanzo – detto Mimmo – insieme al fratello Sebastiano, a Santo Campione, Luigi Rendo, Alessandro Indovina e Mario Ciancio costituiscono la continuazione di quei quattro cavalieri catanesi (di cui in alcuni casi sono parenti stretti) di cui scriveva Pippo Fava su “I Siciliani”. Ma torniamo alla Tecnis.

Società di Tremestieri etneo, provincia di Catania, la Tecnis – come si può leggere direttamente sul suo sito internet – si occupa di costruzione di grandi opere, a livello nazionale ed internazionale, nel campo della viabilità, opere marittime, ponti, gallerie, ferrovie ed edilizia specialistica.
Tra i committenti troviamo l'Anas, Autostrade per l'Italia Spa, Rete ferroviaria italiana nonché le immancabili istituzioni. Tra le opere in cui sono operanti troviamo l'Ospedale San Marco di Catania, due tratti della Salerno-Reggio Calabria (ASR 20 ed ASR 18) ed il porto turistico di Marina di Ragusa.

Ed è proprio sul porto ragusano che, nelle scorse settimane, si sono posati gli occhi del procuratore di Ragusa Carmelo Petralia, che ha aperto un'inchiesta per capire se la realizzazione del porto non sia uno strumento per privatizzare la costa siciliana, cementificando aree sottoposte a vincolo di inedificabilità assoluta o destinate ad usi pubblici. Le indagini della Guardia di Finanza richieste dal procuratore, si concentrerebbero – attraverso lo studio dei conti – sull'uso di materiale non a norma per la realizzazione del porto, pratica illegale ma che permette di risparmiare cifre considerevoli.
Oltre a questo, le indagini dovranno ricostruire le vicende legate al mega parcheggio previsto nel progetto originario e nel quale figura un'area edificabile che stuzzica gli appetiti (edilizi) di molti. Sull'area, oggi, non c'è nemmeno lo straccio di un'auto – dovrebbero essercene circa 500 - che invece si accumulano in un'area verde che, sempre secondo quel piano originale, dovrebbe essere invece costituire un parco pubblico di 15mila metri quadrati.
Ma secondo il certificato unico di collaudo tutto è invece a norma. Un dato interessante, peraltro, è che l'area utilizzata attualmente come parcheggio – l'area verde, per intenderci – non è edificabile, al contrario dell'area inizialmente prevista per le auto, che invece è edificabilissima. Che si prospetti un grande affare sull'area è quello che dovrà accertare la magistratura. Una sentenza del Tribunale ragusano, peraltro, ha condannato il Comune a restituire una parte dell'area dove sorge il parcheggio-fantasma, in quanto questa non sarebbe di proprietà del Comune pur essendo stata da subito utilizzata dalla Tecnis. La “domanda da un milione di dollari” - o da 70 milioni, quanto il costo del Porto – a cui gli inquirenti dovranno infine trovare risposta è: dove sono finiti i soldi previsti per l'area del parco pubblico, dato che tutto il denaro dell'appalto è già stato speso?