Senza fissa dimora: tra emergenze e...Bon Jovi

Messina – Era conosciuta con il suo nome d'arte: Gao. Il suo vero nome era Maria Das Gracas, nata a San Salvador de Bahia, Brasile, 51 anni fa ed arrivata in Italia per seguire due amori: quello per il marito Paolo, di origine lombarda e quello per l'arte, in particolare per la pittura. È morta due giorni fa, a San Rainieri, all'interno delle strutture murarie della Real Cittadella dove aveva trovato un piccolo spazio che la coppia aveva trasformato – occupandolo abusivamente - in alloggio di fortuna e laboratorio. Al di là delle etichette – quelle di senza fissa dimora e artista di strada che troppo in fretta descrivono senza raccontare – faceva parte di quello sterminato esercito di “invisibili” che sembra appartenere ad un altro, lontano, mondo. È stato probabilmente l'alcol – in aggiunta ad un ben noto problema diabetico – ad ucciderla. Vittima, anche, di un paese che, al di sotto di una certa soglia (sociale o economica che sia) non guarda in faccia a nessuno.

«Al dolore aggiungo la sconfitta», dice il magistrato messinese Salvatore Mastroeni in una sorta di epitaffio per Gao. «Abbiamo perso un po' tutti. E pensare che un mese e mezzo fa abbiamo festeggiato il tuo compleanno. Ho visto le tue lacrime a luglio, quando dicevi io non ce la faccio, non sono nata per stare nella strada. Ti ho vista, settimana dopo settimana, andare giù. Rassegnata, non ti lamentavi più ma ti stavi lasciando morire. Vittima della cattiva sorte, della nostra indifferenza e di uno dei pochi compagni della disperazione, che riscalda, non fa pensare e ti stordisce il cervello sempre più. Penso a quella stupenda “cella” fatta da te, piena di fiori e vasi che facevi e hai regalato a mia figlia. Penso all'affetto che sentivi e ricambiavi. Mi piace ricordarti con il tuo cappotto lungo, in quel corpo magro e slanciato».

È partita, a seguito di questa vicenda, la corsa politica a risolvere la situazione per i senza fissa dimora, che a Messina, di fatto, non hanno delle strutture adeguate in cui rifugiarsi. Libero Gioveni, consigliere della terza circoscrizione, ha invitato il sindaco Buzzanca e l'assessore alla solidarietà sociale Dario Caroniti ad accordarsi con le altre circoscrizioni cittadine e la Caritas locale al fine di trovare delle strutture – in particolare scuole in disuso – che possano essere destinate ad ospitare i senza fissa dimora, almeno durante la notte.

Ma chi si prende cura dei senza fissa dimora in Italia? Secondo la prima fase della ricerca promossa dalla Federazione italiana organismi per le persone senza fissa dimora (di cui scrive Giuseppe Mele sull'ultimo numero di “Piazza Grande”, giornale di strada bolognese che lo scorso mese ha festeggiato i suoi 18 anni di attività. Qui http://www.scribd.com/doc/75207751/Piazza-Grande-Dicembre per leggerlo) «nei 158 comuni “censiti”, le principali fonti di assistenza per le persone senza fissa dimora vengono da attività private finanziate dalle Istituzioni: si va da un 63 per cento nelle regioni del nord-ovest al 35 per cento nel sud. L'attività in Italia “sembra essere appiattita”, commentano da fio.PSD, “su un intervento di mero contenimento del fenomeno, legato all'emergenza e all'assistenza primaria e non alla promozione di un effettivo tentativo di reinclusione sociale”».

Sempre “Piazza Grande”, in un articolo di Alain Verdial a pagina 15, ci porta dall'altra parte dell'oceano, a conoscere “Soul Kitchen” (“Cucina dell'anima”, in italiano), inaugurato lo scorso ottobre nel New Jersey grazie ai finanziamenti della Jbj Soul Foundation, che dal 2006 si è posta l'obiettivo di aiutare le persone più bisognose. Un'iniziativa che ha da subito riscosso grande successo, in parte anche per la fama internazionale del suo ideatore – che di professione fa il cantante e risponde al nome di Jon Bon Jovi (“Jbj”, appunto) – ma anche perché si paga quel che si può. E se non si ha denaro – come nel caso dei disoccupati o dei senza fissa dimora – si può sempre aiutare lavando i piatti o lavorando nell'orto di proprietà del negozio.SB