Toxic Somalia

«Per noi esistono due tipi di pirati: quelli piccoli, che attaccano le navi per sopravvivere e quelli che noi definiamo i "veri" pirati: quelli che vengono a infestare i nostri mari e a lasciare qui i propri prodotti tossici».

Riversare sulle coste somale una tonnellata di rifiuti tossici costa 2,50 dollari, a fronte dei circa 1.000 necessari per la stessa operazione (legale) fatta nei paesi del Primo mondo. Potrebbe essere racchiuso tutto in queste poche parole "Toxic Somalia", inchiesta - del giornalista francese Paul Moreira - andata in onda lo scorso 4 giugno sulla rete spagnola TVE e ripreso da vari canali televisivi internazionali. All'appello manca l'Italia, e questo (non) è strano. Associando le parole "rifiuti tossici" e "Somalia" infatti, è automatico parlare del nostro paese e di una delle tante pagine oscure della nostra storia recente: l'omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Ma sappiamo che l'Italia ha serie difficoltà a fare i conti con i propri scheletri nell'armadio (anche con il "vero" giornalismo d'inchiesta, ad esser sinceri, ma questa è un'altra storia...) e dunque per poter parlare di determinate questioni bisogna "prenderla larga" e guardare - come in questo caso - un documentario francese tradotto in spagnolo che parla (molto) dell'Italia. Più o meno lo stesso giro largo che facevano (fanno?) i rifiuti tossici, quando non venivano (vengono?) affossati in mare. È anche da considerazioni di questo tipo (basti considerare l'intervista a Giancarlo Marocchino) che portano a formulare una fondamentale domanda: chi sono, davvero, i pirati in Somalia?