Questioni morali

Qualche sera fa, finalmente oserei dire, la Rai si è ricordata di essere un servizio pubblico mandando in onda “Il Sorteggio” (per chi se lo fosse perso basta cliccare qui per vederlo in versione integrale), la storia di un giovane operaio della Fiat – Tonino – che da semplice “cittadino qualunque”, di quelli che alla politica non si interessano, viene chiamato (“sorteggiato”, appunto) come giudice popolare nel processo alle Brigate Rosse realmente tenutosi a Torino il 27 maggio 1976.
C'è un passaggio – più o meno ad un'ora dall'inizio del film – che mi ha dato da pensare. Tonino si trova a parlare con Gino, il delegato sindacale di fabbrica che fa un po' da “padre” a tutti gli altri operai:

«Sai cos'è lo Stato per me? È il 30 per cento di trattenute in busta paga, le tasse sulla benzina, le tasse sulla schedina, le tasse sulle sigarette...e poi, poi...se vado all'ospedale devo fare la fila, vado alla posta a ritirare quelle due lire di pensione di mio padre che è morto di silicosi in Sicilia prima che arrivasse a Torino e devo fare la fila, e spesso manco ce li trovo quei soldi Gino...e quel povero Gallo? Gli saltano tre dita e lo sbattono al reparto handicappati, così...questo è lo Stato che conosco, Gino!»

Nonostante l'evidente sfiducia la scelta – morale – di Tonino sarà poi decisiva per il processo che lo Stato farà alle Br. Non mi interessa qui entrare nel merito storico-politico di quegli avvenimenti. Mi interessa capire, invece, se oggi quel “processo” non debba essere ripreso. Parlo del processo morale, naturalmente. Che poi lo si voglia chiamare “questione” morale è indifferente. Un po' meno indifferente è, invece, capire se sia meglio declinare il tutto al singolare o se, come credo, sia necessario parlare di “questioni” morali, al plurale. Ma entriamo nel dettaglio


Tedesco, la questione morale del PD ed il “moralizzatore” anti-casta. “L'Anonymous italiano”, il “Julian Assange tricolore”, “la Wikileaks italiana”. Sono tanti i modi in cui – sui media ed in rete – viene descritto questo “SpiderTruman”, personaggio che sembra essersi preso l'onere e l'onore di fare il moralizzatore estivo del nostro paese.
Al di là del dibattito (sic!) legato all'usare o meno il proprio nome in rete, è davvero così importante smascherarlo (o smascherarla, eventualmente...)? Leggendo nei giorni scorsi qualche commento mi sono reso conto di una cosa: questo paese sta perdendo il senso delle dimensioni.

La (narco)guerra santa dei Templari di Michoacan

È il 21 giugno 2011, nello stato di Aguascalientes (Messico centrale) viene arrestato “El Chango”, all'anagrafe José de Jesús Méndez Vargas (nella foto), leader del cartello de “La Familia Michoacana[1]”, uno dei più importanti cartelli del narcotraffico messicano. Secondo molti analisti questo è lo “scacco matto” con cui il governo messicano chiude la partita.
Quanto meno quella aperta con questo cartello.

Perché, come sappiamo, quando in un sistema di potere viene a mancare uno degli attori – come in questo caso – o il sistema crolla nella sua interezza oppure, semplicemente, quel posto lasciato vacante viene preso da qualcun altro. E questo “qualcun altro”, in Messico, sono i Cavalieri Templari.

Nati da una delle tante scissioni che contraddistinguono il mondo dei narcos, il loro “esordio” risale allo scorso 17 marzo (l'atto di nascita ufficiale risale invece al giorno 8), quando i cittadini di Morèlia – che dello stato di Michoacán è il capoluogo – si risvegliarono con questa immagine:
«Lo matamos por bandido y secuestrador. Atentamente Los Caballeors Templarios». «Lo abbiamo ucciso in quanto ladro e sequestratore. Distinti Saluti, I Cavalieri Templari» recita il narcomanta – cioè lo striscione, uno degli strumenti comunicativi “classici” dei narcos – appeso al collo della vittima, la prima di una serie che per adesso si attesta sulle 28 persone. Ma il dato, come è facilmente pronosticabile, è destinato a modificarsi a breve...

una guerra tra fratell(astr)i

Videos tu.tv
L'intento dei Templari di Michoacan – o, per usare il loro gergo, la crociata – è quello di soppiantare completamente gli ex alleati de “La Familia”. O, quanto meno, quello che ne rimane dopo l'arresto di “El Chango”. Più che di alleanza, comunque, sarebbe forse meglio parlare di fratellanza, dato che gli appartenenti ai Templari – come evidenziato dal loro corrido, dal loro “promo” (visualizzabile qui: http://tu.tv/videos/el-corrido-de-los-caballeros-templarios) – sono tutti ex fedelissimi di Nazario Moreno González, conosciuto come “El más loco” (“Il più pazzo”) deceduto il 9 dicembre 2010 in uno scontro a fuoco, a partire da quel Servando Gómez Martínez - “La Tuta”- che della “Familia Michoacana” è stato uno dei fondatori e che fino al primo semestre del 2010 ha continuato ad esercitare la sua professione di professore in una scuola del municipio di Arteaga, circa 300 km più a sud rispetto a Morèlia. L'altro leader è Enrique Plancarte Solís, “El Kike”, che de “La Familia” era uno dei comandanti del "reparto sicari"[2].

Operazione "Crimine 3" - conferenza stampa

Per guardare direttamente la conferenza stampa si può far partire il video dal minuto 16:00 circa

Reggio Calabria, 14 Luglio 2011 - Quella che vedete è la conferenza stampa (integrale) relativa all'operazione "Crimine 3", continuazione di quell'operazione - la "Crimine", appunto - che portò circa un anno fa all'arresto di oltre 300 persone dislocate su tutti i livelli della gerarchia di potere delle 'ndrine calabresi.
Nonostante questa sia “un'indagine da inserire nei manuali delle scuole di polizia” come sostiene Nicola Gratteri, Procuratore aggiunto a Reggio Calabria, il lavoro da fare nell'ambito delle diramazioni internazionali delle 'ndrine calabresi e del narcotraffico è ancora lungo.

Innanzitutto – come evidenzia ancora Gratteri – la quantità di droga che si riesce a sequestrare in Europa è solo il 10 per cento della quantità che viene importata. Ciò è reso possibile anche dal fatto che i grossi trafficanti non attraversano più lo Stretto di Gibilterra e dunque non arrivano più direttamente nel mar Mediterraneo (troppo controllato) ma giungono nei porti del nord Europa come Rotterdam, dove arrivano tonnellate di cocaina attraverso navi che arrivano dopo più di un mese e dopo aver fatto varie tappe e cambiato nome e numeri dei container, rendendo così quasi impossibile il lavoro di indagine.
L'altro problema – come sottolinea il Procuratore Nazionale Antimafia Piero Grasso – riguarda il denaro, praticamente impossibile da rintracciare se non quando questo è già stato “lavato” attraverso il loro investimento in ambiti legali. «È come se ci fosse un canale parallelo che gestisce il denaro a livelli superiori alle cosche calabresi» – conclude il procuratore. «Il problema è capire se i colletti bianchi ce li hanno solo gli uomini delle 'ndrine o anche uomini esterni».
E questo, forse, non è compito solo della magistratura. Ma questa è un'altra storia...

L'educazione di un piccolo suicide bomber


Agente: «Siediti, Farfur...Farfur, vogliamo comprare la terra, ti daremo un sacco di soldi. Avrai moltissimo denaro e noi prenderemo i documenti»
Farfur: «No! Noi non venderemo le nostre terre ai terroristi!»
A: «Farfur! Voglio che mi dai i documenti! Dammi i documenti!»
F:«Non ti do i documenti! Non te li do»
A: «Farfur!» (lo picchia) «Farfur! Dammi i documenti!»
F: «Non li darà a dei criminali, a dei terroristi!»
A: «Ci stai chiamando terroristi, Farfur?» (lo picchia violentemente) «Prendi questo! Prendi questo! E questo! E questo!»
F: «Fermati! Fermati!»


A questo punto la telecamera inquadra la giovane conduttrice, che con occhio triste dice: «Abbiamo perso il nostro amico più caro, Farfur. Farfur è diventato un martire, proteggendo la sua terra. È diventato un martire per mano dei criminali, degli assassini. Gli assassini di bambini innocenti...»

È il 27 giugno 2007 e questo dialogo va in onda in una puntata – che per le critiche ricevute proprio per questo episodio sarà anche l'ultima – di “Tomorrow's Pioneers” (“I Pionieri di domani”), programma di Al Aqsa Television, la “voce ufficiale” del movimento palestinese di Hamas, che aveva inserito questo programma – prima puntata datata 13 aprile di quell'anno – tra i suoi programmi per bambini, tra quelli “educativi” per dirla in gergo.
«Topolino è morto da Shahid». «Topolino è morto da martire», titolarono i giornali occidentali nei giorni immediatamente successivi. Il personaggio di Farfur, infatti, era ricalcato – almeno nelle fattezze fisiche – su uno dei simboli più noti della cultura occidentale come il personaggio nato dalla matita di Walt Disney nel 1928.

Il programma è stato chiuso, ma quanti altri “Farfur” ci sono in giro? Quanti altri bambini, in questo preciso momento, vengono indottrinati da personaggi e programmi di questo genere?


Facciamo che io salto in aria...


Da un lato la coercizione: la scelta – consapevole – degli adulti di plagiare i bambini facendogli credere che “l'onore dello Shahid”, l'onore del martirio, sia l'unico “onore” a cui ci si possa e debba votare. Dall'altro lato, all'estremità opposta, ci sono i bambini di questo video – che secondo quanto detto da Ahsan Masood, il primo a pubblicare il video su Facebook, dovrebbero essere pashtun del Waziristan, al confine tra Afghanistan e Pakistan – che la guerra la “giocano”, la “simulano” esattamente come i loro coetanei occidentali.

Confessioni di un sicario messicano, stanza 164

«Un sicario non ha bisogno di far soffrire la gente, perché la gente soffre dal momento in cui sa che la stai cercando...».
A parlare così è un personaggio - che a volte si fa davvero fatica a non inserire nella casistica degli attori professionisti - che il mestiere del sicario lo conosce bene, essendo stato per oltre vent'anni al soldo dei cartelli messicani. Gianfranco Rosi, regista di "El Sicario - Room 164" ci presenta uno spaccato di un paese (il Messico) e di un problema (quello dei cartelli della droga) che a noi appaiono lontani e di cui i nostri media - tranne quelli specializzati - sembra non vogliano occuparsi, presi come sono nel dedicarsi a varie forme di "gossip".

Charles Bowden, giornalista e co-autore del documentario, ha inseguito il sicario per oltre due decadi, arrivando poi a pubblicare per Harper's Magazine l'articolo da cui il documentario prende le mosse (e che è reperibile, in inglese, a questo indirizzo: http://variousenthusiasms.wordpress.com/2009/04/28/the-sicario-a-juarez-hit-man-speaks-by-charles-bowden-harpers/).
Al di là delle inevitabili prese di posizione sull'uomo che si cela dietro a quel velo nero ed ai suoi atti (la stanza in cui è ambientato il documentario è quella da lui usata per nascondere ed uccidere alcune delle sue vittime...) è, io credo, in qualche modo una testimonianza "storica", come quelle di tutti i c.d. "insider", tutti quelli cioè, che per anni ha lavorato all'interno di un sistema di Potere e poi, per un imprecisato motivo, decide di denunciare. No, niente a che vedere con il famoso "insider" che sta spopolando in questi giorni su Facebook. Ma questa è un'altra storia...

Piazzisti da guerra - il film


Clicca sull'immagine per guardare il film

«Perché un cane agita la coda? Perché il cane è più intelligente della sua coda. Se invece fosse la coda, più intelligente, agiterebbe lei il cane»

[dalla didascalia all'inizio del film]

Dustin Hoffman è Stanley Motss, di professione produttore hollywoodiano; Robert De Niro è Conrad Brean - o forse sarebbe meglio chiamarlo John Rendon - l'esperto di pubbliche relazioni a cui l'entourage del Presidente affiderà la costruzione della più grande messinscena che la Storia d'America ricordi. Il loro compito? Inventare una guerra "da Premio Oscar" per salvare il Presidente degli Stati Uniti dall'accusa di aver molestato una giovane capo-scout, con la quale si è intrattenuto nello Studio Ovale. È questa, in estrema sintesi, la trama di "Wag the dog" - in italiano tradotto incomprensibilmente come "Sesso&Potere" - film del 1997 di Barry Levinson (Premio Oscar per "Rain Man - L'uomo della pioggia"). Tra realtà e finzione, il pubblico scopre come funziona la grande macchina dell'inganno, quella che ha il compito di spostare l'opinione pubblica a seconda degli interessi di questo o quel gruppo di potere (per approfondire: http://senorbabylon.blogspot.com/2011/07/lingannevole-pubblicita-della-guerra.html). Non è semplicemente propaganda, è pubblicità. È (rap)presentare la guerra in 30 secondi, alla velocità di uno spot pubblicitario.

Finzione o realtà? A pochi mesi dall'uscita del film negli U.S.A., i cittadini americani facevano la conoscenza di Monica Lewinsky, quelli europei della guerra in Kosovo...

L'ingannevole pubblicità della guerra


Esiste davvero la guerra? O forse quella che vediamo, quella che ci viene raccontata da giornali è tg è solo una finzione necessaria affinché l'opinione pubblica – che spesso ignora la maggior parte dei fatti che stanno dietro le quinte di un conflitto – si schieri con il proprio governo? Vietnam, Jugoslavia, Afghanistan, Iraq, Libia. La pianificazione di ognuna di queste guerre è stata affidata non solo agli esperti militari per le operazioni sul campo, ma anche agli esperti della pubblicità, così che oggi all'opinione pubblica la guerra viene venduta così, come si vendono i pannolini...

«Quando la CNN ha mostrato le immagini di Saddam Hussein con gli ostaggi si è esposta ad essere accusata di fare della propaganda, di fare del cattivo giornalismo. Se ci si limita ad accendere la telecamera per registrare passivamente tutto quello che succede senza intervenire questo non è giornalismo, è solo un fatto tecnico. Il giornalismo consiste spesso nel montaggio: decidere che cosa di un discorso è veramente importante, che cosa di un determinato evento può e deve essere mostrato al pubblico. Non si può accendere la telecamera e andarsene; un minimo di controllo, di intervento critico è indispensabile e questo mi pare sia quello che è mancato nel caso della CNN[1]»

[Ted Koppel, ex anchorman ABC]

Esistono ancora le guerre? Naturalmente la risposta è sì. Ma quello che vediamo, quello che ci viene mostrato nei telegiornali, nelle foto da prima pagina dei grandi magazine o che ci viene raccontato dalle colonne dei grandi quotidiani corrisponde davvero alla realtà del “campo di battaglia”? Rispondere sì anche a questa domanda è forse più difficile...
Che nei conflitti vi sia sempre un terzo fronte, quello della propaganda, è fatto notorio a tutti tanto che, parafrasando l'altrettanto nota questione sull'uovo e la gallina, ci si potrebbe chiedere se sia nata prima la guerra o la propaganda. quel che forse non tutti sanno è che oggi a “vendere” la guerra sono gli stessi che dalle reti televisive o dalle pagine dei giornali vendono pannolini, abiti, bibite e autovetture. Anche la guerra – e bene deve ricordarselo il generale Westmoreland [2] – è diventata ormai nient'altro che un prodotto mediatico che, come tale, deve essere venduto.
A chi? All'opinione pubblica, of course. E chi meglio di un'agenzia pubblicitaria può riuscire in questo compito?
Dice la nota massima che la prima vittima di un conflitto è sempre la verità, naturalmente se quella che ci ostiniamo a chiamare “verità” - intesa nella sua accezione oggettiva ed incontrovertibile – esistesse davvero. In tal senso non c'è periodo migliore per la diffusione della verità s-oggettiva di oggi, di questo tanto elogiato periodo dell'iper-informa(tizza)zione nel quale con un semplice click possiamo documentarci praticamente su tutto, passando in pochi attimi dalla ricetta dell'arrosto a quella per fabbricare una bomba sporca. Eppure mai come ora ci lasciamo abbindolare, mai come ora prendiamo per buone le verità della televisione.
Ma procediamo per gradi. Anzi, per immagini.

Nocara: all'ombra dell'ultima...antenna

Nocara (Cosenza) -  Nocara è un paese che si estende su una superficie di circa 33 kmq nell'Alto Jonio cosentino a circa 865 metri sul livello del mare che - stando alle tradizioni - sembra aver dato i natali a Ponzio Pilato, nonostante tale paternità sia rivendicata anche da altri comuni calabresi. Quel che è certo, comunque, è che il piccolo paese di Nocara è uno di quegli “atolli” ancora liberi dalla cementificazione selvaggia come se ne trovano, sempre meno, nella provincia italiana.
Ma il piccolo paese di Nocara, oggi, assomiglia alla Val Susa. L'ombra dell'”albero di noci” (o di mandorle, dal latino...) da cui prende il nome nelle mire di qualcuno dovrà essere oscurata da un'ombra ben più alta e minacciosa: quella di un'antenna alta 36 metri che, nei disegni dei “piani alti” dovrebbe servire alle forze di polizia tutte in un'ottica di sicurezza nazionale. Ma è davvero così fondamentale – nella ragnatela di antenne utilizzate dalle nostre forze dell'ordine – il paese di Nocara? È davvero di importanza strategica che questa venga posizionata in un posto di poche centinaia di abitanti e che – stando ai dati – fa qualcosa come 13 (tredici) abitanti per chilometro quadrato?

Prima di rispondere a queste domande bisogna sottolineare come questo – per i nocaresi – sia un deja vu: nel 2005, infatti, chi nell'amministrazione oggi si scaglia contro l'antenna, niente ebbe a dire contro quella di Radio Italia – che invero trovò l'unanimità della cittadinanza – poi spostata dal centro abitato per quel “difetto” di attirare i fulmini durante i temporali provocando danni alle abitazioni vicine.
Come poi ci insegna il “caso” Radio vaticana, l'inquinamento elettromagnetico che ogni antenna porta con sé – di qualunque natura essa sia – aumenta in maniera esponenziale tutta una serie di malattie che ormai sono ben note anche all'opinione pubblica quali leucemie, disturbi cardiaci, riproduttivi, neurologici e via discorrendo. È per certi versi inquietante, tornando al caso di Nocara, notare come il vice-sindaco – Giambattista Settembrino – di professione faccia il medico (chirurgo).

Può la politica – in nome di un ipotetico progresso e di un forse più reale becero affarismo – svendere la salute della cittadinanza?

Toxic Somalia

«Per noi esistono due tipi di pirati: quelli piccoli, che attaccano le navi per sopravvivere e quelli che noi definiamo i "veri" pirati: quelli che vengono a infestare i nostri mari e a lasciare qui i propri prodotti tossici».

Riversare sulle coste somale una tonnellata di rifiuti tossici costa 2,50 dollari, a fronte dei circa 1.000 necessari per la stessa operazione (legale) fatta nei paesi del Primo mondo. Potrebbe essere racchiuso tutto in queste poche parole "Toxic Somalia", inchiesta - del giornalista francese Paul Moreira - andata in onda lo scorso 4 giugno sulla rete spagnola TVE e ripreso da vari canali televisivi internazionali. All'appello manca l'Italia, e questo (non) è strano. Associando le parole "rifiuti tossici" e "Somalia" infatti, è automatico parlare del nostro paese e di una delle tante pagine oscure della nostra storia recente: l'omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Ma sappiamo che l'Italia ha serie difficoltà a fare i conti con i propri scheletri nell'armadio (anche con il "vero" giornalismo d'inchiesta, ad esser sinceri, ma questa è un'altra storia...) e dunque per poter parlare di determinate questioni bisogna "prenderla larga" e guardare - come in questo caso - un documentario francese tradotto in spagnolo che parla (molto) dell'Italia. Più o meno lo stesso giro largo che facevano (fanno?) i rifiuti tossici, quando non venivano (vengono?) affossati in mare. È anche da considerazioni di questo tipo (basti considerare l'intervista a Giancarlo Marocchino) che portano a formulare una fondamentale domanda: chi sono, davvero, i pirati in Somalia?