Carità terrena. Inchiesta sulle ingerenze politico-criminali nella sanità italiana (puntata IV)

Summit della 'ndrangheta lombarda a Paderno Dugnano
Un «centro di potere con i calabresi a fare la spina dorsale del Popolo della Libertà».È il 9 giugno del 2009 e questa frase compare tra le intercettazioni utilizzate nell'operazione “Infinito” sulle infiltrazioni 'ndranghetiste al Nord. A pronunciarla è Carlo Antonio Chiriaco, ex direttore dell'Asl di Pavia e uomo dei clan nella sanità lombarda, auto-definitosi in un interrogatorio “malato di 'ndrangheta”, arrestato per associazione mafiosa e corruzione elettorale nell'ambito della maxi-operazione “Crimine” che ha portato dietro le sbarre ben 300 esponenti delle principali cosche calabresi (“proiezioni” extraregionali annesse).

Sarà una pura coincidenza, ma quel “centro di potere” si realizza nelle elezioni comunali del giugno 2009, dove la componente calabrese ha di fatto egemonizzato il voto: a partire da Cristina Niutta (prima eletta con 594 preferenze) per arrivare a Luigi Greco (344) passando per l'indagato Pietro Trivi (434). Determinante però, è proprio il ruolo di Chiriaco. Oltre ad essere procacciatore di voti, infatti, il suo compito consisteva nel trasferimento nel business legale gli introiti derivanti da narcotraffico, traffico d'armi, usura e gestione illegale dei rifiuti:

Chiriaco: «La Regione copre il 60 per cento delle spese con la quota, che è il contratto...da un minimo di 36 euro ad un massimo di 60 euro...più è grave...più la regione ti dà, come contributo...tu capisci che se hai 120 posti letto ed hai una media di 45/50 euro al giorno...fai 50 per 120...quanto...sono 7.500 euro al giorno...poi tu stabilisci che la retta deve essere di 100 euro al giorno, la differenza te la dà il privato che nella maggior parte dei casi è un pensionato, quindi la pensione...»
Dieni*: «...700, 800 li ha...»
Chiriaco: «...l'altro prezzo lo integrano i familiari...e se non ha i familiari...te lo integra addirittura il comune...hai capito? Funziona così...allora, è chiaro che tu...se che l'hai contrattualizzato e hai i giusti canali»
Dieni: «...soldi sicuri...»
*Dieni è Antonio Dieni, costruttore edile entrato più volte in indagini della Direzione Distrettuale Antimafia. [scrivere più piccolo e laterale...]

Il comparto sanitario – lo abbiamo visto nelle precedenti “puntate” di questa inchiesta – sta sempre più diventando una delle principali voci utilizzate dalla criminalità organizzata sia come forma di riciclaggio del denaro illecito, sia come fonte di reddito “pulito”, legale.
Ma le mani sul business non sono solo quelle mafiose.

Aggiungi un posto in barella. Inchiesta sulle ingerenze politico-criminali nella sanità italiana (puntata III)

No. Questa non è una situazione da paese civile. O, quanto meno, quella del Pronto Soccorso dell'ospedale San Camillo di Roma non è una situazione che dovrebbe registrarsi in un paese civile in tempo di pace.
Perché l'impressione che se ne ha – quanto meno l'impressione che ho avuto io guardando le immagini per la prima volta – è stata quella di trovarmi di fronte a scenari ben diversi. A scenari di paesi in guerra. O scenari di paesi colpiti da qualche disastro naturale.
Ma non c'erano donne e uomini afghane/i su quelle barelle, non c'erano bambine e bambini haitiane/i o giapponesi, tanto per rimanere alla cronaca più stringente.

No. Su quelle barelle ci sono cittadini del mio stesso paese, di quel paese di cui ieri qualcuno ha voluto festeggiare il compleanno, ammantandosi di quel senso di “onor patrio” che di solito si rispolvera ad ogni competizione internazionale della nazionale di calcio ma del quale, francamente, poco c'è da essere orgogliosi.
Ci siamo appena rituffati in un'esperienza bellica che – comunque andrà a finire – ci vedrà sconfitti e tra le tante storture italiane di cui non parlano i giornali ci sono fin troppe cose che un paese che si definisce civile non dovrebbe permettersi.
Come può un paese che si definisce civile permettersi il “lusso” di una situazione come quella denunciata qualche giorno fa dall'edizione romana de “La Repubblica”, dove

(...)nell'area del Dipartimento Emergenza e Accettazione, il DEA, le permanenze ristagnano per tempi lunghissimi, a volte anche più di tre giorni passati su una barella o, se sono tutte occupate, su una poltrona o una sedia. Una media di 14 ore. I pazienti in Codice Rosso, nella cosiddetta Piazzetta, restano in attesa di un ricovero in rianimazione in media 14 ore con punte fino a 3-5 giorni

o ancora, come scriveva il Corriere della Sera

(...)il personale, spesso precario, è costretto senza rispetto per la dignità e la privacy dei pazienti, ad ammassare uomini, donne, anziani e giovani, su barelle e poltrone, come in un grande calderone, tra flebo e mascherine d'ossigeno(...)Il record di attesa, in questa triste classifica, spetta a una filippina colpita da ictus: è in fin di vita e aspetta da 20 giorni un letto in rianimazione.

In tutto questo, naturalmente, c'è da tenere in conto anche che le ambulanze sono costrette a rimanere ferme davanti ai Pronto Soccorso in attesa che vengano loro restituite le barelle, mentre cittadini che di quelle ambulanze avrebbero bisogno, sono costretti a recarsi in ospedale senza poterne usufruire, con tutto ciò che questo comporta, non ultimi quei 15 milioni di euro all'anno che la Regione Lazio paga per autisti, barellieri e mezzi costretti a passare i loro turni in sosta per mancanza di barelle.

Corsa all'ultima protesi. Inchiesta sulle ingerenze politico-criminali nella sanità italiana (puntata II)


Quando si affronta la questione della sanità pugliese il problema principale è esattamente tentare di dare risposta alle domande che sono dietri ai “se” che Maurizio Belpietro poneva durante questa puntata di Annozero del 2009: esiste o non esiste un sistema (che poi lo si voglia definire di stampo mafioso o di stampo politico – come abbiamo visto nella precedente puntata di questa inchiesta – diventa un dettaglio di natura prettamente linguistica) che gestisce la sanità pugliese alla stregua di una sanità “elettorale”, utile cioè non al cittadino ed alla sua tutela ma alla tutela del potere di determinate, ben specifiche e ben identificabili personalità politiche?
Per rispondere a questa domanda dobbiamo partire da ormai un bel po' di anni fa.

«Ricoveri fantasma, arrestato il gotha della sanità barese».
Titolava così il quotidiano “La Repubblica“ il 4 maggio 1994. Inizia così il filone pugliese di Mani Pulite. Tra gli arrestati di allora anche Francesco Cavallari, all'epoca considerato il re delle cliniche private baresi. In una sua intervista del 2009 rilasciata al settimanale “Panorama” si può leggere :

Io consegnai personalmente a D'Alema 20 milioni in contanti in una busta bianca durante una cena a casa mia. Ma non finì lì. In altre due occasioni gli diedi due finanziamenti da 15 milioni che gli portai al consiglio regionale. Successivamente gli feci avere altre due trance sempre da 15: in tutto 80 milioni di lire

e ancora

Fu Antonio Ricco, commercialista e direttore generale delle mie cliniche, oggi consulente personale del sindaco Emiliano (…) Io quella Patrizia D'Addario l'ho conosciuta. Me la presentò un giornalista con cui si accompagnava.(...)

«Dalle mie dichiarazioni» - continua Cavallari - «rimasero coinvolti una sessantina di politici. Tra loro c'era anche il socialista Alberto Tedesco, ma non venne indagato. Io non mi spiego la decisione del pm»

Sono passati 17 anni, ma i personaggi che trafficano intorno alla sanità pugliese sono più o meno gli stessi.
Tra questi c'era allora e c'è oggi Alberto Tedesco, nel 1994 socialista “autonomista” oggi passato nelle fila del Partito Democratico (che lo porta in Senato per sostituire l'ex Ministro del Lavoro del secondo governo Prodi Paolo De Castro, nel frattempo migrato verso un seggio in Europa...).
Ma chi è Alberto Tedesco?

La chiamavano "Malasanità". Inchiesta sulle ingerenze politico-criminali nella sanità italiana (puntata I)

28 febbraio 2011. Sara Michienzi, nove anni, muore dopo una operazione per l'asportazione delle tonsille nel reparto di otorinolaringoiatria dell'ospedale di Lamezia Terme (Catanzaro). Uno di quei famosi interventi definiti “di routine” che non dovrebbero avere alcuna controindicazione e che i medici dovrebbero portare a termine praticamente ad occhi chiusi.
Eppure qualcosa va storto.
Perché Sara muore dopo pochi giorni per un'«emorragia sviluppatasi intorno alla zona operata» ma anche – come recita il referto autoptico - «per una concomitante crisi respiratoria». Quella stessa crisi respiratoria che aveva indotto sua madre, Isabella Notaro a portarla al pronto soccorso. «Tutto apposto, non si preoccupi» era stata la risposta. Probabilmente la stessa che, nel 2003, la signora Notaro si sente dire quando suo marito muore d'infarto, dopo essere stato all'ospedale di Vibo Valentia per farsi visitare. O magari la stessa risposta che avevano dato nel dicembre 2007 ai genitori di Eva Ruscio, 16 anni, morta per una tracheotomia o ai genitori di Federica Monteleone, anch'essa 16enne ed anche lei morta all'ospedale di Vibo in seguito ad un blackout elettrico mentre si trovava in sala operatoria.

In tutti questi casi la parola d'ordine dei giornalisti è stata una sola: malasanità. Tra la fine di aprile 2009 ed il dicembre 2010 – secondo i dati della Commissione Parlamentare d'Inchiesta sugli errori in campo sanitario e sulle cause dei disavanzi sanitari regionali presieduta dall'esponente IdV Leoluca Orlando – quello di Sara Michienzi è il 78esimo caso di malasanità avvenuto in Calabria su un totale di 326 su tutto il territorio nazionale.
Quel che risalta immediatamente dalla lettura delle cronache locali è che nell'equipe che si è occupata del caso di Sara c'era Gianluca Bava, indagato e poi assolto «per non aver commesso il fatto» nell'indagine sul caso di Eva. Forse solo una tragica fatalità, o forse qualcosa di diverso che sarà compito della magistratura indagare.

Al di là dei nomi, comunque, quello che appare evidente – in Calabria come in Lombardia, nel Lazio come in Campania – è che più che un problema di nomi, la sanità italiana ha un problema di nomine, ed è per questo che parlare di “malasanità” vuol dire tutto e non vuol dire niente.


Nel novembre 2009 il Ministero delle Pari Opportunità presentava uno spot contro l'omofobia (dall'ambientazione ospedaliera) che chiedeva allo spettatore il grado di interesse di determinate caratteristiche del personale che – in via più o meno teorica – potrebbe un giorno salvargli la vita.