Capodanno col "mostro": quello che i media scordano di dire sul caso Cesare Battisti

Programma bipartisan: la forca
Italia: paese di santi, poeti, navigatori e...comici (che di solito siedono in Parlamento).
Il prossimo spot per invogliare cittadine e cittadini stranieri a visitare il nostro Paese potrebbe avere quello appena citato come pay-off, viste le ultime esternazioni (delle quali bisogna sottolineare l'anima bipartisan, a conferma di una moda ormai consolidata...).
Dopo le voglie “operaie” di Fassino (se andasse davvero a lavorare in catena di montaggio ne avremmo giovamento tutti) ecco arrivare il lato destrorso del Palazzo che, nella figura del Ministro della Difesa Ignazio La Russa che – forse dimentico di non essere nei salotti mediatici nostrani – ha minacciato il (per ancora poche ore) Presidente della Repubblica Federativa del Brasile Luiz Ignácio Lula da Silva di possibili ritorsioni (un eventuale no all'estradizione dal Brasile in Italia di Cesare Battisti «non sarà senza conseguenze», come ha annunciato in un'intervista al Corriere della Sera) chiedendo addirittura il boicottaggio commerciale verso il Brasile.

È di poco fa la decisione brasiliana sul processo storico-mediatico-politico che ormai da anni si sta portando avanti nei confronti dell'ex militante dei P.A.C. (Proletari Armati per il Comunismo) Cesare Battisti. Sgombro subito il campo da possibili fraintendimenti: Battisti, come individuo, mi sta profondamente sulle scatole, mentre non posso nutrire uguale antipatia per quel tentativo di modifica dello status quo degli anni '70 che ha utilizzato la lotta armata come forza di resistenza alla violenza strutturale dello Stato (e qui vi rimando alla definizione triangolare della violenza di Johan Galtung: http://www.reteindra.org/BN0201/09.htm).

Lo definisco processo storico (e politico) perché quello a cui stiamo assistendo non è il tentativo di chiudere i conti con il processo a Battisti in quanto individuo, ma a Battisti come simbolo. Incarcerare lui è – de facto – incarcerare gli anni '70. È, ancor meglio, un processo agli anni di piombo in quanto tali, un processo che si configura come la migliore tra le non-soluzioni di una ferita ancora aperta che invece dovrebbe stare nel posto che più propriamente le compete: i libri di storia.
Si pensi alla stessa Repubblica Federativa del Brasile, che tra poche ore vedrà il passaggio del testimone tra Lula e Dilma Vana Rousseff, guerrigliera ai tempi della dittatura brasiliana (1964 – 1985) e che – addirittura – proprio per quella scelta che in Italia passerebbe sotto il fattispecie di “terroristimo” è stata carcerata dal 1970 al 1972.

Tutti a dire della rabbia del fiume in piena e nessuno della violenza degli argini che lo costingono. [Bertolt Brecht]

Che dal voto di fiducia del 14 saremmo entrati in una nuova fase era facilmente prevedibile. Altrettanto prevedibile era la risposta antidemocratica (ma esiste davvero la democrazia?) del governo che avendo ancor meno argomenti del solito – non che ne abbia poi così tanti in generale – applica la regola aurea di qualsivoglia forma di autorità: la repressione.
È in quest'ottica che il Ministro dell'Interno Maroni, imboccato dal sottosegretario Alfredo Mantovano, si è detto possibilista verso l'estensione del D.A.SPO. (acronimo che sta per Divieto di Accedere alle manifestazioni SPOrtive) anche alle manifestazioni di protesta come quelle a cui stiamo assistendo (e partecipando) in questi giorni.
Misura di prevenzione atipica e caratterizzata dall'applicabilità a categorie di persone che versino in situazioni sintomatiche della loro pericolosità per l'ordine e la sicurezza pubblica con riferimento ai luoghi in cui si svolgono determinate manifestazioni sportive, ovvero a quelli, specificatamente indicati, interessati alla sosta, al transito o al trasporto di coloro che partecipano o assistono alle competizioni stesse.(...)Il D.A.SPO. può essere comminato anche nei confronti di soggetti minori di anni 18, che abbiano compiuto il quattordicesimo anno di età (in tal caso, il divieto è notificato a coloro che esercitano la patria potestà)” dice l'Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive del Ministero dell'Interno.

La repressione non mi stupisce di certo, e questo non perché – per usare uno slogan tanto caro ad una certa parte politica – saremmo sotto “dittatura”, ma semplicemente perché la repressione non è altro che una delle tante forme espressive con cui si manifesta lo sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo, conditio sine qua non di una struttura sociale composta da non-eguali come la nostra. Per cui finché non si deciderà un cambio drastico dell'intero sistema (quale miglior momento di questo?) la repressione, così come lo sfruttamento e qualsivoglia forma di inegualità continueranno ad esistere.
Quel che mi stupisce, in positivo, è che finalmente ci si sta iniziando a rendere conto che il nostro paese ha il vizio di erigere statue (di cartapesta) ad eroi (di carta, per usare il titolo di un libro di Alessandro Dal Lago) solo perché salgono agli onori della cronaca personaggi che dicono esattamente quelle parole che il c.d. popolo vuol sentirsi dire.

Di campi rom, stati-nazione e amianto...

«Si lamentano degli zingari? Guardateli come vanno in giro a supplicare l'elemosina di un voto! Ma non ci vanno a piedi, hanno autobus che sembrano astronavi, treni, aerei. E guardateli quando si fermano a pranzo o a cena: sanno mangiare con coltello e forchetta e con coltello e forchetta si mangeranno anche i vostri risparmi. L'Italia appartiene a cento uomini, siamo sicuri che questi cento uomini appartengano all'Italia?»

No, queste parole non rappresentano la dichiarazione di questo o quell'antipolitico. A pronunciarle – anzi, per essere precisi a scriverle (http://www.fondazionedeandre.it/zingari.htm) – fu Fabrizio De André che, tra le tantissime perle che ci ha regalato, ha scritto anche la struggente “Khorakhanè”.
Durante il concerto al Teatro Brancaccio, quello che erroneamente viene considerato come il suo ultimo concerto, ebbe a dire che «(il popolo rom) sarebbe un popolo da insignire con il Nobel per la pace per il solo fatto di girare per il mondo senza armi da oltre duemila anni».
E c'è qualcuno a cui anche solo a sentirli nominare viene il vomito...

Si chiama Clarissa Lombardi, è consigliera del PdL per la circoscrizione est della città di Prato e, qualche giorno fa ha così commentato il furto della borsa dalla sua auto da parte di un indefinito “qualcuno”.
Forse sarò anche banale, ma a me le cose che fanno venire il vomito sono altre: la mafia e le altre forme di criminalità organizzata insieme a chi le tutela a livello istituzionale, chi sfrutta gli altri per mero vantaggio personale (e qui guardo proprio in casa – partitica – della suddetta: http://corrierefiorentino.corriere.it/firenze/notizie/economia/2010/10-agosto-2010/operai-cinesi-senza-stipendio-lavorano-sasch-cenni—1703552415435.shtml), chi comanda bombardamenti a distanza di chilometri per un paio di firme su un contratto, eccetera eccetera eccetera.
E poi c'è l'ignoranza. Non quella di chi non ha avuto la possibilità di andare a scuola per mancanza di possibilità economiche, come succedeva fino a qualche decennio fa a noi italiani o, perché, se ci andasse verrebbe perennemente dileggiato e perseguitato per colpa di uno stereotipo, proprio come succede ai bambini ed alle bambine rom. Se foste costretti ad andare in una scuola in cui tutti i giorni vi chiamano con i peggiori appellativi e vi tengono in disparte senza che voi abbiate fatto qualcosa di male come vi sentireste? Sareste così felici di andare a scuola?
L'ignoranza che mi fa vomitare è quella di chi, pur sapendo quel che succede, si gira dall'altra parte o sfrutta, da una posizione di privilegio, l'ignoranza altrui.

Porrajmos: l'olocausto dimenticato degli zingari (di Pino Petruzzelli)


Ci sono parole che vengono usate con leggerezza, anche se il loro utilizzo dà al testo una determinata connotazione (per lo più negativa): "clandestini", "nomadi", "zingari" sono alcune di queste.
Ce ne sono altre che invece sono dimenticate. Una di queste è "porrajmos", che in lingua romanes significa "devastazione" ed indica l'omicidio di circa 500.000 persone appartenenti alla popolazione romaní (rom e sinti in particolare) avvenuta durante il secondo conflitto mondiale. Se oggi conosciamo questo genocidio nascosto lo dobbiamo agli ebrei, che ne dettero testimonianza mentre ci insegnavano la Shoah.
Nonostante questo, però, le vessazioni contro rom e sinti continuano ancora oggi, sottoforma di "campi nomadi" in cui mancano le più elementari norme igieniche o sottoforma di un qualcosa che è forse ancor peggiore dello sterminio fisico: la discriminazione. Molti sinti (italiani) sono costretti a "dimenticare" la propria origine per meglio integrarsi nel nostro paese, così come in pochi sarebbero disposti a dare fiducia a chi viene definito "zingaro" (per poi lamentarsi che "loro" rubano e non vanno a lavorare).

La discriminazione - si sa - è generata dall'ignoranza, che ha un'altra figlia pericolosa: la paura. Una delle più gravi (nella quale però molto incide il lavoro xenofobo di media e politica) è proprio quella verso le popolazioni romaní, che si inscrive nella più atavica paura verso "l'altro".
Proprio per questo da qualche mese è partita la campagna "Dosta!" ("Basta!" in romaní) con la quale si cerca di cancellare tutti i pregiudizi razziali verso rom e sinti.
Non servono campi di marginalità. Serve integrazione. E per rendere possibile un'integrazione che non sia annessione il primo passo è la conoscenza.

Il prezzo della solidarietà? A Firenze un euro



Prima colazione, cena e pernottamento notturno al costo di un euro a notte.
Un'offerta che definire allettante sarebbe riduttivo. Per chi, naturalmente, può permetterselo.
Questa, infatti, non è l'offerta natalizia di qualche villaggio vacanze o – visti i tempi – meta sciistica per far fronte alla crisi ma è la proposta – ideata dall'assessore alle politiche sociosanitarie Stefania Saccardi – del Comune di Firenze in risposta alla c.d. “emergenza” freddo.

Circa 200 posti letto (175 dallo scorso 22 novembre al 3 aprile 2011 più altri 25 a Natale) messi a disposizione per i tanti senza dimora fiorentini. I primi 15 giorni saranno gratuiti, dal sedicesimo gli ospiti saranno costretti a pagare l'”obolo”.
«Serve per responsabilizzarli» - dice Saccardi - «sono troppi i senza casa non residenti a Firenze: che si rivolgano ai propri Comuni». Insomma: dai tempi dell'ordinanza anti-lavavetri dell'ex assessore Cioni sembra essere cambiato davvero poco. Ad essere cambiato è il modo in cui viene presentata l'iniziativa: se ai tempi delle ordinanze anti-lavavetri ed anti-accattonaggio si era nel pieno della corsa “a chi fa meglio lo sceriffo”, la giunta Renzi sostiene l'aspetto pedagogico di quella che appare come una vera e propria tassa sui senza dimora: «si tratta di un pagamento simbolico» - continua l'assessore della giunta Renzi - «con cui l'Amministrazione non copre assolutamente le spese del servizio. Rappresenta piuttosto una forma di responsabilizzazione delle persone che utilizzano le strutture: vorremmo che capissero che questi servizi hanno un costo per la collettività».

Stando ai dati dell'Osservatorio della Società della Salute del 2009 gli abitanti della città di Firenze sono 365.000, di cui 10.000 galleggiano sulla soglia di povertà ed altri 5.000 vivono in situazione di povertà assoluta. Oggi, con l'incidenza della crisi mondiale la situazione è anche peggiore.
Sono dunque molto spesso cause esterne (problemi familiari, difficoltà nel trovare lavoro, la stessa crisi economica) che causano il fenomeno dell'”homelessness”, entrato a partire dal 2005 anche tra le priorità dell'agenda dell'Unione Europea, che ha chiesto agli stati membri di sviluppare strategie di integrazione sociale per fronteggiare l'emergenza. Questo ci porta a due considerazioni: l'idea del senza dimora “per scelta”, per quanto possa apparire “romantica”, è un'idea derivante da stereotipo e – seconda considerazione – bisognerebbe chiedersi se la proposta della giunta fiorentina ricada nella fattispecie della solidarietà.

Italia-Libia-Egitto: il triangolo dove spariscono gli “illegali”

El Hassnah (Deserto del Sinai) - «Ogni volta che l’uomo si è incontrato con l’altro, ha sempre avuto davanti a sé tre possibilità di scelta: fargli la guerra, isolarsi dietro a un muro o stabilire un dialogo. [...] L’esperienza di tanti anni trascorsi in mezzo agli altri di paesi lontani mi insegna che la benevolenza nei loro confronti è l’unico atteggiamento capace di far vibrare la corda dell’umanità».

Se fosse ancora vivo, probabilmente oggi Ryszard Kapuściński dovrebbe rivedere questo passaggio del suo meraviglioso libro “L'Altro”, inserendo una quarta possibilità: l'indifferenza totale, come quella che da circa un mese nasconde uno dei più gravi casi di violazione dei diritti umani che sta avvenendo a pochi passi da casa nostra, al confine tra Egitto ed Israele, dove un gruppo di beduini tiene in ostaggio circa 250 persone tra sudanesi, somali, nigeriani, etiopi ed eritrei la cui unica caratteristica comune è quella di essere profughi. Chi - come i sudanesi - scappa da una guerra e chi, semplicemente, scappa da situazioni di povertà estrema, ma tutti accomunati dal sogno di arrivare in quella terra promessa che risponde a nomi come “Libertà”, “Pace” e “Democrazia”.
Un sogno che – come ci ha magistralmente raccontato Fabrizio Gatti in “Bilal” (libro che dovrebbe essere inserito in tutti i programmi d'istruzione del mondo) – spesso si trasforma in incubo, come quello che dagli inizi di novembre stanno vivendo 80 eritrei – tra cui bambini e donne incinte – incappati nella doppia tagliola del traffico di esseri umani e degli accordi internazionali che trasformano migranti, richiedenti asilo e profughi in “illegali”.

Duemila euro. È questo il prezzo della libertà. È questa, infatti, la somma richiesta dai beduini per traghettare i 250 migranti attraverso il golfo della Sirte, il Nilo e poi Suez, attraversando illegalmente il confine dell'Egitto dopo essere scampati alla giustizia libica. Libia, Egitto, Italia: è questo – oggi – il vero Triangolo delle Bermuda. È su queste rotte che spariscono i “clandestini per legge”, arrivati ai confini della Fortezza Italia voluta dal ministro Maroni e da Gianfranco Fini (a cui, però, va solo l'onere e l'onore di aver aggiornato una legge “di sinistra” come la Turco-Napolitano) e spediti immediatamente verso la Libia e l'Egitto, terre dalle quali difficilmente ne tornano indietro notizie.

Bocche cucite (e non è un modo di dire)

Le immagini che seguono sono decisamente forti. Perché ci raccontano ancora una volta quel che non vogliamo sentirci raccontare. Raccontano quello che non vogliamo vedere e che, per sentirci superiori abbiamo iniziato a definire, di volta in volta, "extracomunitari" o "clandestini" senza renderci conto - o rendendocene perfettamente conto, dipende dai punti di vista - di quanto questo imbarbarimento faccia male a loro, ai migranti rinchiusi nei Centri di Identificazione ed Espulsione per una legge idiota che solo questo stato poteva ideare, e faccia male a noi, che ogni giorno diventiamo sempre più miserevolmente xenofobi, ignoranti e vuoti.
Loro - i migranti - ogni giorno tentano il suicidio ingoiando tutto quello che possono, dai pezzi di vetro alle pile. Ma quel che hanno fatto in quattro al C.I.E. di Torino e poi altri cinque in quello di Gradisca d'Isonzo  è un passo ulteriore verso il baratro a cui la "civile" Italia si sta avvicinando:

Sono immagini che ci pongono di fronte alla "solita" domanda: tra esseri umani diventati "clandestini" con un tratto di penna ed i cittadini che continuano a credere nel berlusconismo come fonte di tutti i mali chi è il più criminale?

Se noi ci siamo autodefiniti dalla parte del "bene" allora chi tutela il male quando il bene si prepara ad ammazzare (o a cucire le bocche, come in questo caso...)?

Lettera ad un poliziotto che ieri era in piazza

Caro poliziotto che ieri eri in piazza,


Perché li difendi? Ti guardavo, ieri, e non riuscivo a capire.
Eri lì con il tuo bel casco lucido, il tuo scudo antisommossa, la tua divisa linda e pulita a difendere chi non si può difendere.
Perché ieri, mentre caricavi i cortei di chi "non era rimasto a casa a studiare" caricavi il futuro. Il nostro, il tuo e quello di questo Paese.


Se non te ne frega niente del nostro futuro pensate al tuo, a quello dei tuoi figli.
Perché stai negando un futuro decente ai tuoi figli? Perché gli impedisci di avere un futuro diverso - forse migliore - del tuo presente? Perché vuoi assicurargli un futuro da sottopagati, sfruttati, con contratti di collaborazione a pochi euro per anni ed anni? Perché vuoi negargli di diventare qualcuno attraverso lo studio?
Magari - chissà - tua figlia o tuo figlio avrebbero potuto vincere il Premio Nobel per aver trovato la cura a qualcosa di incurabile, o magari tua figlia o tuo figlio creerà una teoria economica che migliorerà il mondo. Ma questo non lo saprai se difendi chi è indifendibile. Non lo saprai mai se continui a stare dalla loro parte. Perché vuoi costringere altri figli di questo paese, figli di quel Sud usato come pattumiera nazionale in molti casi, a non avere altra alternativa che un lavoro per il cui accesso non vale alcun titolo di studio? Perché vuoi costringerli ad una nuova epoca di emigrazione? Così, come succedeva un secolo fa.
Io lo so come lavori: lo so che sei costretto a turni massacranti, che sei costretto - quando esci con l'auto di servizio - a metterci la benzina di tasca tua e che spesso non ti danno la divisa nuova perché il Governo ha tagliato i fondi e non ci sono soldi per comprarle.
Ma allora perché continui a difenderli?



Se neanche il futuro dei tuoi figli ti sta a cuore pensa a quello di questo paese. Perché questo paese lo ami, altrimenti non lo difenderesti per quello che è.
Davvero vuoi perpetrare questo sistema in cui, come cento anni fa, il futuro è deciso per nascita? Davvero vuoi continuare a difendere un sistema clientelare e corrotto come questo? Davvero lo consideri "il migliore dei paesi possibili"?


Se la tua risposta a queste domande è no, al prossimo corteo, ai prossimi scontri in piazza togliti il casco, getta a terra lo scudo antisommossa e vieni da quest'altra parte della barricata.
Se la tua risposta a queste domande è no, perché continui a difenderli?