Paco: la droga da discount

Buenos Aires (Argentina) – Viene chiamata “Paco” in Argentina, “Basuco” in Colombia, “Kete” in Perù. Una dose costa meno di un euro, ma se ne può trovare in dosi di minor quantità in vendita a 20 centesimi. Dal 2002, anno in cui ha fatto il suo ingresso nel mercato sudamericano – in particolar modo in quello argentino – ha di fatto soppiantato droghe ben più costose come la “sorella maggiore” cocaina, motivo per cui si è soliti definirla come “la droga dei poveri”. A queste cifre il volume d'affari per gli spacciatori, nella sola Argentina, si aggira intorno ai 270 milioni di euro annui.

Il paco, questo il nome più diffuso, è ottenuto dal processo di trasformazione del PBC (pasta base di cocaina) in cloridrato di cocaina (cioè la cocaina pura). Composto con elementi di scarto come acido cloridrico, ammoniaca e cherosene, viene tagliato con sostanze dall'altissimo grado di tossicità quali la polvere di vetro delle lampade alogene. A differenza della più famosa polvere bianca, però, ha una “potenza di fuoco” di 400 volte superiore.

È lo strumento principale con cui le grandi imprese del mercato della droga – che elaborano nelle stesse cucine in cui si prepara il Paco anche la cocaina che sbarcherà negli Stati Uniti ed in Europa – stanno aprendosi a nuovi mercati. È la riproposizione, in scala, di quel che avviene nel processo del capitalismo globale : ci si apre prima ai “grandi” mercati, quelli delle piazze più importanti e poi, quando ci si è fatti un volume d'affari (ed un nome) di tutto rispetto in questi luoghi si cerca fortuna in mercati minori – ancor meglio se sconosciuti – con un'offerta che, pur ricalcando quella principale, pone sui nuovi mercati prodotti “di serie b” o – come in questo caso – prodotti di scarto.

«Inizi con una dose» - dice Francisco, 19 anni - «l'effetto è fortissimo ma dura pochi secondi. Allora ne vuoi subito un'altra, e poi un'altra ancora e così via. Non esistono vie di mezzo: dal primo giorno diventi un “adicto”, un dipendente». Francisco è uno di quelli che ce l'ha fatta. Dopo mesi di cura a Casa Flores (il primo centro di recupero per dipendenti del Paco) le mani non tremano più e sono scomparse anche le bruciature sulle labbra - dovute al fatto che l'unico modo per assumere questa sostanza è fumarla attraverso delle pipe, spesso ricavate dagli strumenti più disparati quali tubi di metallo ed antenne tv – sono ormai un lontano ricordo.
Il Paco toglie la fame ed i desideri e dunque ben si adatta ad una popolazione dove – come testimoniato da una recente indagine dell'INDEC (l'istituto nazionale di statistica e censo argentino) – su una popolazione di 38 milioni di persone 18 sono poveri e 8 viaggiano lungo la soglia di indigenza. Questo però non deve trarci in inganno, perché il Paco non è né una sostanza pensata per i poveri né economico: nato infatti come “sballo” per quella che una volta avremmo definito piccola-media borghesia e poi allargatosi a clientele molto meno esigenti, il suo dilagare non deriva – come facilmente si potrebbe dedurre – dalla crisi economica che ha colpito l'Argentina nel 2001 (e dagli effetti che questa ha avuto sui consumi del popolo argentino) bensì dall'ingresso del paese tra i produttori di droga, che sfruttano le oltre 700 piste di atterraggio clandestine grazie alle quali è semplice l'ingresso della materia prima proveniente dalla Bolivia e la successiva spedizione del prodotto finito verso i mercati principali. La sua economicità, peraltro, è ancora tutta da dimostrare: se è vero che il prezzo di vendita è stracciato, è pur vero che gli effetti durano da un minimo di un minuto ad un massimo di cinque, per cui la quantità giornaliera che ogni “paquero” utilizza oscilla tra le 50 e le 100 dosi.

«Gli spacciatori» - spiega Cesar Fonseca, assistente sociale - «hanno iniziato regalando bustine di un grammo di pasta base per ogni grammo di coca venduta. Una volta creata la domanda hanno fissato un prezzo, di otto o dieci volte inferiore a quello della polvere bianca, conquistando così migliaia di clienti. Costa meno ma si vende più facilmente e la dipendenza è assicurata». La rete dello spaccio si basa sulla figura del “soldato”, cioè il consumatore-spacciatore che per comprare le dosi di cui ha bisogno, si pone come intermediario tra domanda e offerta, diventando così anche il principale obiettivo delle forze dell'ordine.
Foto di Valerio Bispuri [http://www.valeriobispuri.com]
I dipendenti da questa sostanza si auto-finanziano nelle maniere più disparate e disperate: dal lavaggio dei vetri per strada agli scippi passando per l'elemosina o la vendita dei loro averi. Si possono incontrare spacciatori-consumatori negli angoli più poveri delle città latinoamericane – le “Villas Miserias”- così come nei parchi pubblici e nel cuore delle grandi metropoli, da Buenos Aires a Montevideo passando per San Paolo e la Colombia. È uno degli effetti dello spostamento delle “cucine” - i centri in cui si produce la cocaina – dall'altopiano andino al cuore delle metropoli, dove sono nascoste dietro anonimi appartamenti o tenute di campagna.


«L'età in cui si inizia a fare uso di droga ogni anno diminuisce» - spiega Isabel Vázquez, fondatrice insieme ad Alicia Romero del movimento “Madres contra el Paco” (qui il sito: http://www.madrescontraelpaco.org.ar/) - «nel 2000 l'età media si aggirava intorno ai 24 anni, oggi intorno ai 16, anche se non è difficile incontrare ragazzi che fanno uso di questa sostanza già ad 11 anni». La maggior parte degli “adictos” non sa né leggere né scrivere e si trova a fare i conti con un tessuto sociale in cui gli effetti della crisi socio-economica (nella quale ruolo fondamentale ha giocato il volere del Fondo Monetario Internazionale) sono ancora devastanti, basti pensare al divario economico tra ricchi e poveri che, nella sola Buenos Aires, permette al 10% della popolazione più ricca di avere un reddito trentacinque volte superiore al 10% della popolazione più povera.

Gli effetti sul fisico di chi fa uso di questa sostanza sono ancor più devastanti di quanto non possa fare la cocaina pura. Agli effetti di quest'ultima, infatti, bisogna aggiungere quelli dell'acido solforico (enfisemi e cancro polmonare), del monossido di carbonio che si sostituisce all'ossigeno nei globuli rossi e del cherosene, che funge da inibitore nella trasmissione degli impulsi nervosi ai neuroni. È dunque ancor più effimera l'utilità del paco, che non solo necessita di un continuo “ricarico” - visto il brevissimo tempo in cui esaurisce i propri effetti – e dunque di una spesa notevole, ma molto spesso i paco-dipendenti perdono la vita nel giro di un paio d'anni, per gli effetti diretti e per quelli – indiretti – che ha sulla sfera sociale, in cui il ruolo dei media è, come sempre, decisivo.
Foto di Valerio Bispuri [http://www.valeriobispuri.com]
L'indifferenza della gente comune – quell'indifferenza che conosciamo ad ogni angolo di ogni strada di ogni città del mondo – sfocia spesso in una vera e propria forma di ostilità verso i centri che si occupano del recupero di queste anime perse, perché la paura dell'invasione di un'orda di piccoli delinquenti è alta e ben alimentata dal sistema mediatico argentino, che quando non si occupa di “televisione verità” filmando giovani consumatori con le armi in mano e che giurano di essere pronti a tutto pur di ottenere i soldi necessari a comprarsi l'ennesima dose (probabilmente anche a fare i “burattini” in mano a qualche giornalista in cerca di audience e notorietà) pone l'accento sull'aspetto “solidaristico” della faccenda, cioè sulla necessità di ampliare la rete di centri di recupero per i paco-dipendenti, senza andare ad indagare quelle che sono le vere cause dell'uso di sostanze psico-alteranti: un'offerta scolare insufficiente, un mondo lavorativo che si disinteressa della marginalità, un sistema giudiziario che – come a noi è stato magistralmente insegnato da Fabrizio De André – si fa grande con i piccoli e piccolo con i grandi “prima di genuflettersi nell'ora dell'addio, arbitro in terra del bene e del male”. I media, in Argentina come in Italia come – probabilmente – nel resto del mondo, si interessano al caso particolare ma non alla violenza strutturale di quel sistema che riempie le strade del mondo di “sballi effimeri”, utili solo a rafforzare quei centri di Potere (economici, politici e sociali) che traggono vantaggio dal tenerci indaffarati con “quisquilie e pinzillacchere”.

Ma in Argentina esiste un movimento sociale che è più forte delle crisi socio-economiche e delle dittature: le “Madres”. Conosciamo ormai da trent'anni quelle di Plaza de Mayo che, munite dell'ormai famoso “panuelo blanco” tutti i giovedì sera si riuniscono nell'omonima piazza per chiedere la ricomparsa di quei figli che la dittatura degli anni '70 gli ha portato via. Da qualche anno accanto a loro si possono vedere altre “madri-coraggio”: madri come Isabel e Alicia, che con la loro associazione cercano di combattere il narcotraffico con le uniche armi non-violente che l'umanità abbia mai conosciuto: l'istruzione e l'aiuto reale a ragazze e ragazzi in difficoltà, quello stesso aiuto che non viene da chi ne sarebbe garante per definizione, come quelle forze dell'ordine i cui rappresentanti sono spesso i primi ad essere inseriti nel mercato della droga dal lato dell'offerta.
«Mio figlio Emanuel consumava di tutto, arrivando a rubare per finanziarsi le dosi» - dice Isabel, che ha deciso di mobilitarsi in prima persona proprio a seguito della morte di Emanuel - «Una volta entrati nei centri di recupero facciamo un lavoro specifico con ogni “adicto” in funzione del suo profilo. La relazione con gli altri compagni e la partecipazione delle famiglie sono decisive».

Il problema del “basuco”, così come il problema dei bambini che per le strade del Brasile sniffano colla perché non hanno il denaro necessario a pagarsi una dose di droga “vera” non è un problema dettato da cause individuali, ma è il risultato – studiato e messo in pratica – di un processo strutturale che porta sempre di più ad allargare la forbice economica e sopratutto sociale tra chi ha e chi non ha, tra chi è “centro” e chi è “periferia”. Lo dice in maniera magistrale una tra le più importanti “penne” dell'America Latina qual è quella di Eduardo Galeano: «Si demonizza il tossicodipendente, soprattutto il tossicodipendente povero, così come si demonizza il povero che ruba, per assolvere la società che li genera».

Sarebbe interessante chiedere ai nostri politici, quelli che adesso si stanno adoperando per la distruzione – lenta ma continua – dell'istruzione tra quanto inizieranno a gridare al nuovo “problema sociale” della “droga da discount” (il “paco” circola già per le strade di Barcellona, per cui è solo questione di tempo il suo arrivo anche in Italia). È per questo che la battaglia sull'istruzione, nel nostro paese come nel resto del mondo, non deve essere dimenticata né a livello sociale né mediatico, perché nessun venditore di morte lo si trova lì, tra libri e matite.