La scuola stuprata (dagli sponsor)

Grande scalpore sta suscitando in questi giorni la scuola formato Lega Nord ideata da Danilo Oscar Lanciani sindaco di Adro (Brescia) che ha – come scriveva Liberazione ieri – infettato il  polo scolastico con simboli leghisti. Come fanno notare i compagni di Militant sarebbe forse il caso di scandalizzarsi ancor di più nello scoprire a chi il polo è stato dedicato: tal Miglio Gianfranco che, per chi non lo sapesse, è uno degli ideatori del secessionismo padano. Non essendo esperto di questioni leghiste ho fatto un giro in rete, trovando – mi è bastato Wikiquote – materiale abbastanza interessante su questo “intellettuale”:

«Il linciaggio è la forma di giustizia nel senso più alto della parola. C'è la giustizia dei legulei, che è il modo di imbrogliare il prossimo, e c'è la giustizia popolare che si esprime nei moti rivoluzionari. Quando il sistema non garantisce più la giustizia, è il popolo che si appropria del diritto di punire. Il linciaggio è un fatto estremo e riprovevole, per etica e stile».

A parte la capriola linguistico-dialettica con la quale definisce il linciaggio sì la forma più alta di giustizia ma al contempo un fatto riprovevole per etica e stile (che d'altronde fa parte del bagaglio ideologico di un partito che urla “Roma Ladrona” non solo mandando propri uomini a fare i ministri ma anche facendosi finanziare lautamente proprio dalla capitale ladrona...) sarebbe interessante chiedere non tanto ai leghisti ma al resto del mondo politico dove sia l'aspetto encomiabile in una definizione come quella appena citata od in una come questa:

«Il presunto impegno alla solidarietà non fa altro che legalizzare la violenza a danno dell'onesto possidente, costretto a rendere partecipi della sua fortuna coloro che guadagnare non sanno...»

Insomma: proprio un personaggio “educativo”, non c'è dubbio. Mi chiedo dove siano state le opposizioni fino ad ora, ma ho paura di venire a conoscenza della risposta.

Come da più parti ci si chiede, comunque, sarebbe interessante studiare la reazione della popolazione nel momento in cui – in un universo parallelo – al posto della lega e dei suoi simboli ci fossero stati il Partito Comunista e la falce&martello. Con questo non voglio assolutamente dire che la politica nelle scuole faccia male, rinnegherei in tal caso il mio “sessantottismo”, mi chiedo solo quanta ideologia pseudo-sinistrorsa ci sia in questa vicenda. Domanda che diventa ancora più interessante nel momento in cui vengo a scoprire che se Adro ed il suo sindaco folkloristico (è infatti lo stesso della mensa solo per chi può permettersela e del “menù padano” in una scuola che, non si sa fino a quando, è ancora aperta a tutti...) campano ormai da qualche giorno sulle prime pagine dei giornali, la stessa cosa non avviene per un altro tipo di sponsorizzazione che sta violentemente entrando nelle scuole e che, a mio modo di vedere, può essere ancora più pericolosa.
«Un sistema scolastico democratico è uno dei modi più sicuri per creare e per espandere in modo rilevante il mercato di qualsiasi prodotto, in particolare di quelli nei quali entra in gioco la moda».

[James Rorty, ex pubblicitario, Ours Master's Voice, 1934]


E ancora:
«Come sempre nel branding, non è sufficiente tappezzare le scuole con qualche logo. Una volta messo piede dentro le scuole, i brand manager cominciano a fare quello che hanno già fatto nei settori della musica, dello sport e del giornalismo: tentare di sopraffare i padroni di casa, di conquistarsi una posizione di primo piano. Spingono affinché i loro marchi diventino materia obbligatoria, non un corso supplementare. L'insegnamento agli studenti e la creazione di una consapevolezza del marchio possono essere due aspetti dello stesso progetto(...)Agli occhi dei brand manager ogni mensa e aula rappresenta un “campione” che attende di essere studiato. Perciò, ottenere accesso alle scuole significa molto più che vendere prodotti. È una vera e propria opportunità di andare a caccia di mode, il che rappresenta un buon veicolo per gli affari».

Traggo queste ultime righe da “No Logo”, dove Naomi Klein dedica addirittura una sezione specifica al problema della sponsorizzazione commerciale delle e nelle scuole. Un problema che fino a poco tempo fa potevamo vedere solo in quei pessimi telefilm americani grazie ai quali si fa “bombardamento commerciale” nelle menti dei più piccoli.

In questi giorni sono passate sottotraccia – tra le tantissime notizie che meriterebbero maggior fortuna – due notizie che potremmo sì racchiudere alla voce “locali” ma che sono comunque indice di un fenomeno ben più vasto: presso la scuola elementare Torricella Nord (periferia romana) i bambini potranno utilizzare non il classico banco con un piede più corto su cui tutti siamo passati anche più di una volta, ma il più tecnologico “Vika Curry”, “gentilmente” offerto dall'Ikea, alla quale naturalmente è stata data la possibilità di mettere in bella mostra il proprio marchio sui suoi prodotti all'interno dell'istituto (50 banchi e 50 sedie). Gli esempi di questo nuovo corso educativo si sprecano: all'istituto superiore Carlo dell'Acqua di Legnano, ad esempio, è stato indetto un bando di 20.000 euro per restaurare un affresco. L'azienda vincitrice del bando avrà non solo una targa all'interno dell'edificio “a futura memoria”, ma potrà installare un cartellone di sponsorizzazione all'esterno dell'istituto per tutta la durata dei lavori;  sempre a Milano, presso le elementari Thouar-Gonzaga di via Gentilino, verranno esposti striscioni con i nomi delle ditte che hanno fornito i materiali per il rinnovo del plesso scolastico. Già questo dovrebbe non dico far indignare – chiederei troppo – ma quantomeno dovrebbe far pensare sul tipo di educazione che verrà data in queste scuole. Ci sono poi anche i casi limite come quello dell'asilo Benetton (creato a discapito di una vecchia vigna) o della scuola Della Valle: siamo a Casette D'Ete, piccolo centro del marchigiano (Fermo) dove Mr.Tod's ha deciso di regalare un intero plesso scolastico – in stile campus americano, of course – alla cittadinanza, a patto che in cima campeggi ben visibile il nome di famiglia. La festa di inaugurazione (il progetto è peraltro della moglie del patron della Fiorentina) era di fatto una sfilata di “prime donne”: si andava da Mentana e Belpietro a Gianni Letta e Luca Cordero di Montezemolo passando per Mastella e consorte.
D'accordo, la scuola sarà un gioiellino della tecnologia: classi high tech, materiali bio e giardini alla moda, ma bisognerà testarne la tenuta educativa. E quella non la si può comprare neanche con la tecnologia più avanzata.

Qualcuno potrà obiettare – con ben fondate ragioni – che uno dei problemi dell'istruzione pubblica è la mancanza di fondi per garantire ai discenti una preparazione adeguata, ed in questo sono peraltro costretto a dare ragione al Ministro Gelmini quando sostiene che la distruzione della scuola come centro di formazione sociale e culturale dell'individuo è iniziata ben prima del suo disgraziato arrivo al numero 76 di viale Trastevere (ho ancora nitide nella memoria le immagini ed i suoni delle contestazioni alla Moratti prima ed a Fioroni poi...), ma siamo davvero sicuri che scuole piene di loghi commerciali non abbiano l'effetto opposto, cioè non più aiutare economicamente gli istituti nel compito educativo loro preposto ma diventare solamente dei giganteschi cartelloni pubblicitari utili solo ad indurre bisogni in persone – adolescenti e bambini – che ancora non hanno maturato una coscienza critica nei confronti della pubblicità? C'è una quantità più o meno sterminata di studi su quanto la “colonizzazione della coscienza” attuata dal marketing sia dannosa per lo sviluppo proprio di quei soggetti che si ritroverebbero a passare la maggior parte delle proprie giornate in mezzo ai brand.

Mi chiedo – domanda retorica, ovviamente – quanta “solidarietà” («Volevo solo dare una mano» ha dichiarato Della Valle all'inaugurazione) ci sia in questo tipo di sponsorizzazione e quanto invece sia solo frutto di una calcolatissima operazione di marketing. Che esista qualche anima pia anche tra gli imprenditori è logico – qualche mela sana tra le migliaia di mele marce ci deve pur essere, d'altronde – ma a questo punto perché non sovvenzionare le scuole in maniera anonima? Se io sono un imprenditore, più o meno famoso, ed ho a cuore le sorti di una scuola – magari quella che ho frequentato da bambino e che rischia la chiusura per mancanza di fondi – il mio scopo principale sarà quello di non far chiudere la scuola no? Allora mi sarà indifferente – se, appunto, ho davvero intenzioni solidali – se il mio nome comparirà in ogni centimetro quadrato della stessa. Ma, come i miei studi economici mi insegnano, l'unico scopo solidale conosciuto dagli imprenditori è quello verso se stessi ed il proprio conto in banca. 
Cosa fare, allora? Innanzitutto si potrebbe ricominciare a considerare la scuola come uno dei fulcri dello sviluppo di un territorio, riportando la comunità che le ruota intorno ad interessarsene, magari partendo proprio da quelle aree dove la carenza di stimoli culturali ha portato e porta la criminalità organizzata a farla da padrone (come diceva Victor Hugo: «chi apre la porta di una scuola chiude una prigione»), magari ricominciando a dare importanza a quella parola - “Cultura”- caduta in prescrizione da quando l'economia è diventata il vero burattinaio della vita di ognuno.

Quando ero piccolo sentivo spesso lamentarsi i grandi del fatto che le nostre città avevano sempre meno verde. Io credevo si riferissero alla mancanza di giardini dove portarci a giocare. Ho capito solo adesso che il verde al quale si riferivano è quello delle banconote.