Patria (Grande) o Muerte!


San Salvador de Jujuy (Provincia del Jujuy, Repubblica Argentina) -  C’è un concetto caro a molte delle popolazioni dell’America Latina, in ogni latitudine del continente ed in ogni tempo che da Simón Bolívar, José Martí e Camillo Torres, passando per il Che ed arrivando a Fidel Castro e Hugo Rafael Chávez Frías è probabilmente l’obiettivo politico di ogni latinoamerican*. Questo concetto – che prende il nome di “Patria Grande” – è quella considerazione, di natura geopolitica se vogliamo, con la quale si dice che solo con una grande nazione latinoamericana (la Patria Grande, appunto) potrà finire l’opera di usurpazione imperialista, potendo così restituire le terre a chi ne ha davvero la “proprietà”,per quanto erroneo sia definire proprietà terriere per chi professa il culto della Pachamama: i Popoli Indigeni (o Popoli Originari, che dir si voglia).
Un paio di settimane fa questi popoli si erano ritrovati a Cochabamba, nello Stato Plurinazionale della Bolivia per urlare non solo il proprio disprezzo verso il mondo capitalista che sta uccidendo il nostro pianeta, ma anche – e soprattutto – per metterlo alla sbarra, con tanto di iniziativa per la costituzione di un Tribunale Penale per i diritti della Pachamama - sulla falsariga del Tribunale de L’Aja – dove vengano di volta in volta processati tutti quelli (personalità politiche, industrie, multinazionali) che tramite il mezzo capitalista non solo inquinano la terra deviando il corso dei fiumi – come la costruzione della gigantesca diga di Belo Monte - o devastando vaste aree boschive per le loro imprese – si pensi alla recente campagna di GreenPeace contro l’acquisto di olio di palma da parte della multinazionale Nestlé che distrugge le foreste – ma anche distruggendo rapporti sociali ed economici tra le comunità locali, forse la cosa più semplice da capire per chi – come noi europei – non è nato con la concezione della Pachamama.

Oggi le comunità indigene tornano a riunirsi.
Questa volta lo fanno in Argentina, per la quale quest’anno ricade il Bicentenario. Quest’anno, peraltro, in America Latina si festeggia anche un’altra – ben più importante in termini politici – ricorrenza: il Centenario del primo levantamiento zapatista, la rivolta che, nel 1910, portò la ribellione delle popolazioni messicane contro il regime clerical-latifondista del Generale Porfirio Diaz.
Dai tempi di Emiliano Zapata e della rivolta che ne porta il nome in realtà non è cambiato molto. Anzi.
Il capitalismo è oggi l’unico mantra riconosciuto a livello globale, nonostante sacche di ribellione (si pensi alla teoria economica della decrescita portata avanti dall’economista e filosofo francese Serge Latouche) stiano diventando sempre più consistenti (e la crisi economica – o di sistema, come dicono i più – gioca sicuramente a loro favore).
È per questo che i popoli argentini hanno deciso di nuovo di scendere nelle strade. Lo fecero già nel 2001, senza distinzione tra popolazioni originarie e non, per protestare contro quel regime imperial-capitalista grazie al quale si poté testare la forza del modello economico neoliberista di matrice friedmaniana (leggetevi Shock Economy di Naomi Klein) che per circa un decennio ha portato l’Argentina al fallimento ed alla successiva “resurrezione” nell’abbraccio mortale del Fondo Monetario Internazionale (le analogie con la Grecia sono più di quante se ne possano contare, come vedete). Lo rifanno oggi, sempre per protestare contro quel sistema capitalista che non tiene conto della millenaria storia di popoli che vivono la terra in quei luoghi da molto tempo prima che Amerigo Vespucci attraccasse sulle coste argentine nel 1507.
Dal 12 al 20 maggio, infatti, le Popolazioni Originarie si riverseranno per le strade e per i villaggi argentini fino alla grande marcia verso Buenos Aires prevista per giovedì 20, verso quella Plaza de Mayo diventata da circa un trentennio meta di pellegrinaggio per le Madres, le madri dei desaparecidos.

Spesso ho sostenuto come una delle cose che più mi fanno pensare che sarà dall’America Latina che verrà il vento di quell’altro mondo possibile di cui si discuteva in Europa proprio mentre gli argentini fallivano (le ferite di Genova sono ancora aperte per molti di noi…) perché oltre a definire quali sono i problemi contingenti – tenendone sempre conto in maniera collettiva, a differenza dell’individualismo di matrice capitalista che pervade l’Europa – i popoli latinoamericani hanno da tempo ormai le ricette affinché quel mondo sia realizzabile e realizzato.
Quello che chiedono lo possiamo leggere sul blog ufficiale della marcia, considerando anche il fatto che molti dei media mainstream (e, come ho potuto appurare anche molti dei principali media on-line) non coprono l’evento:

  1. riconoscimento dei territori ai Popoli Originari; 
  2. creazione delle Università indigene sia per una educazione che non parta dal modello capitalista, sia per tramandare alle giovani generazioni la cultura e le conoscenze indigene (ad esempio per la formazione del personale medico alla conoscenza tradizionale); 
  3. alloggiamenti rurali (per far fronte al problema delle espulsioni dai territori originari necessari per la costruzione di conglomerati urbane di natura capitalista).
    Lo scopo principale che la marcia si pone, oltre al già citato riconoscimento della “proprietà” della terra a queste popolazioni, facendo in modo che il governo argentino riconosca i diritti delle comunità indigene, così come prevede la Costituzione nell’articolo 75 comma 17:

    «Riconoscere le radici etnico-culturali delle popolazioni indigene argentine.
    Garantire il rispetto della identità di tali popolazioni e il diritto ad un’educazione bilingue e interculturale; riconoscere la personalità giuridica delle loro comunità e il possesso e la proprietà comunitaria dei territori che normalmente occupano; regolamentare inoltre il conferimento di altri terreni adatti e sufficienti per lo sviluppo umano; nessuna di tali terre sarà alienabile, trasmissibile, né soggetta a gravami o sequestri. Assicurare la partecipazione di tali popolazioni alla gestione delle proprie risorse naturali e delle altre cointeressenze che le riguardino. Le province possono esercitare congiuntamente tali attribuzioni».

    Sono previste circa 12.000 persone (stando almeno agli accrediti accertati), che si divideranno in tre colonne:
    • Colonna NOA, di cui faranno parte le comunità dei Popoli Kolla, Atacamas, Omaguacas Guaraní e Diaguita scenderanno da Quiaca, percorrendo Jujuy, Salta, Tucumán, Santiago del Estero e Santa Fe, dove si incontreranno con la conolla nea per marciare uniti verso Buenos Aires;
    • Colonna NEA, composta dalle comunità di Qom-Toba, Wichies e Mocoví marceranno per le provincie di Misiones, Formosa, Corrientes, Chaco e Santa Fe, dove si incontreranno con la colonna NOA e continueranno la marcia uniti, fino a Buenos Aires;
    • Colonna SUD, di cui faranno parte le comunità della Nazione Mapuche e gli Huarpes, percorreranno Rió Negro, Neuquén passando per diverse città della costa atlantica fino all'obiettivo finale, Buenos Aires, naturalmente.

    Questa – come hanno più volte sottolineato gli organizzatori – non è una marcia partitica, per cui sono state vietate tutte le bandiere che possano ricondurre a partiti e/o movimenti di qualsiasi tipo ed estrazione. Non è partitica, è vero, ma è sicuramente una marcia politica. Una marcia per il diritto ad una vita dignitosa delle comunità indigene argentine, alcune delle quali di millenaria tradizione. Qui in Europa la chiameremmo “marcia per i diritti umani”.

    Porque creemos que un mundo mejor es posible.

    P.s…così come ho fatto per la Conferenza tenutasi a Cochabamba, anche in questo caso è possibile seguire la marcia in diretta grazie a Justin.tv (anche se al momento di chiudere il post non è ancora trasmesso nulla). 

    Documenti: