Ho acclarato che...

  •  ...ci stanno prendendo per il culo.
«Se dovessi acclarare che la mia abitazione fosse stata pagata da altri senza saperne io il motivo e il tornaconto, i miei legali eserciteranno le azioni necessarie per l'annullamento del contratto».

L'unica cosa chiara nella vicenda che coinvolge Claudio Scajola è il fatto che è un ministro abituato alle dimissioni. Per chi non lo ricordasse, infatti, il nostro era ministro dell'Interno durante il G8 di Genova (quando ammise di aver dato l'ordine di sparare ai poliziotti...) e, un anno dopo, definì Marco Biagi «un rompicoglioni che voleva il rinnovo del contratto di consulenza» davanti a degli increduli giornalisti. Frase che, naturalmente, gli costa la prima dipartita dicasteriale.

Non contento, oggi il nostro ci riprova. “Forse altri hanno pagato la mia casa”, titola a pagina 2 il quotidiano La Stampa di oggi. Non so voi, ma io una delle poche cose che ho capito di questa vicenda – che in realtà seguo abbastanza distrattamente, come molte delle vicende che riguardano il nostro paese – è che l'ormai ex Ministro dello Sviluppo Economico abbia quantomeno tentato di prenderci tutti per il deretano: chi è che crede alla storiella del “ah, non mi sono accorto che una parte di casa mia non l'ho pagata io”? Naturalmente Maurizio Lupi (il difensore dell'indifendibile) non fa testo.

Questa volta credo che neanche il più accanito dei difensori del Premier (scelta ardua: Minzolini o Fede?) abbia abboccato a cotanta castroneria...

Negare qualunque cosa. Ormai è questa l'unica politica dei governanti. Negare anche a costo di perdere la faccia. Dicono faccia molto Prima Repubblica, anche se a me più che dall'epoca di Mani Pulite sembra abbiano preso spunto dagli anni '70: quando qualche brigatista veniva arrestato, infatti, una delle prime cose che faceva era quella di dichiararsi prigioniero politico. Oggi invece la prima cosa che certa gente – banchieri corrotti e corruttori, politici dalla dubbia moralità – fa è quella di dichiarare che sono stati vittima, nell'ordine: a) di un complotto ordito nei loro confronti, b) di un processo mediatico indegno come non si era mai visto prima.

Insomma: sparano dabbenaggini – abituati come sono dalle campagne elettorali – e pretendono che la gente ci abbocchi. Ma prima o poi ci stancheremo di fare la parte dei pesci pronti per la frittura...
  • ...quasi quasi ha ragione a Calderoli.
«Il nazionalismo con le sue degenerazioni è alle nostre spalle, orgoglio nazionale significa anche orgoglio di quello che produciamo, orgoglio per i nostri tecnici, per i nostri operai».
Sono le parole del Presidente della Repubblica che danno l'avvio alle celebrazioni del 150° anniversario dell'unità d'Italia. “Espressione poetica e suggestiva” per citare Gaber.
Perché io, francamente, tutta questa unità non ce la vedo nel paese. Non la vedo quando il popolo del Nord vuole staccarsi dal Sud perché stanco di sopportare gli “sfaticati” meridionali (anche se andando a vedere quanti meridionali lavorano nelle fabbriche del Nord...).
Non vedo l'unità nella lingua, quando – come scrive Tullio De Mauro su Internazionale del 6 marzo 2008 (l'articolo è “Analfabeti d'Italia”) - «soltanto il 20% della popolazione adulta italiana possiede gli strumenti minimi per capire quella che dovrebbe essere la lingua nazionale», cosa che fa facilmente intuire perché la proposta del ritorno al dialetto stia attecchendo così bene.

Naturalmente non la vedo di certo nell'”orgoglio per i nostri tecnici, i nostri operai”. Perché vorrei capire di quali tecnici e quali operai stiamo parlando: degli operai di una tra le più grandi imprese nazionali – e motore della nostra economia – cassintegrati o quelli costretti a stare sui tetti per non farsi licenziare da un padrone che per meri fini di profitto delocalizza dove il lavoro che in Italia fa un operaio lo possono fare tre bambini ad un terzo del costo? O forse si sta parlando di tutti quei lavoratori che a 40/45 anni se vengono licenziati sono considerati “fuori mercato” e non trovano lavoro? O forse di tutti quei ragazzi brillantemente laureati costretti a fare lavori per i quali non hanno studiato perché “troppo qualificati”?
Ed a proposito dei tecnici, di chi stiamo parlando? Dei giovani ricercatori che fanno la fortuna delle università straniere perché in questo paese si è deciso di non puntare sul futuro? O forse di quelli che, per rimanere in Italia e “fare carriera” devono mettersi al servizio di questo o quel barone, cioè di una delle tante mafie che governano questo paese?

«Naturalmente la mia patria, la mia Italia, non è l’Italia d’oggi. L’Italia godereccia, furbetta, volgare (…) L’Italia cattiva, stupida, vigliacca, delle piccole iene che pur di stringere la mano a un divo o a una diva di Hollywood venderebbero la figlia a un bordello di Beirut (…) L’Italia squallida, imbelle, senz’anima, dei partiti presuntuosi e incapaci che non sanno né vincere né perdere però sanno come incollare i grassi posteriori dei loro rappresentanti alla poltroncina di deputato o di ministro o di sindaco (…) Non è nemmeno l’Italia dei giovani che avendo simili maestri affogano nell’ignoranza più scandalosa, nella superficialità più straziante, nel vuoto (...)»
[Oriana Fallaci, "La Rabbia e l'Orgoglio", Corriere della Sera del 29 settembre 2001]
  • ...forse (e sottolineo forse) ho trovato il nuovo leader dell'opposizione.
D'accordo: non è un politico italiano, e forse questo potrebbe escluderlo, ma sicuramente fa più opposizione lui – almeno su un tema – di quanto non faccia tutto l'insieme di partiti che si auto-proclamano di opposizione. Parola di cui, evidentemente, non conoscono il significato.

In questi giorni – quanti se ne sono accorti? - si sta tenendo all'Onu la Conferenza per la revisione del Trattato di non proliferazione nucleare, utile ai padroni dell'organizzazione sovranazionale – che sempre marchiata a stelle e strisce è – anche per ribadire che l'Iran non può avere l'energia nucleare altrimenti potrebbe dotarsi di una bomba eddiononvoglia potrebbe venderla ad Al Qaeda, ritornata in auge in questi giorni con il presunto attentato a New York, sul quale mi riservo di leggerne le verità ufficiose, visto che solitamente quelle ufficiali – quando ci sono di mezzo gli yanquis – sono vere quanto una banconota da un dollaro e 50.

In quella sede è successo che il presidente dell'Iran abbia fatto una precisa richiesta agli States. Precisa e legittima, dal mio punto di vista: Ahmadinejad ha infatti ribadito il concetto che se l'Iran non può avere il nucleare, allora non devono averlo neanche gli stati servi degli americani e dei sionisti, altrimenti i conti non tornano (e torniamo al discorso dei due pesi e due misure di cui mi sono occupato qui: http://senorbabylon.blogspot.com/2010/04/due-pesi-due-misure-atomiche.html). È sempre la solita domanda, d'altronde: se il nucleare iraniano non è buono, perché non è la stessa cosa per quello italiano che verrà, per quello americano o per quello israeliano? I soli Stati Uniti – per loro stessa ammissione – posseggono 5113 testate nucleari (fonte: il Pentagono). O almeno queste sono quelle possedute sul loro territorio. Perché, dunque, prima di preoccuparci del nucleare iraniano non smantelliamo tutte le testate nucleari detenute dagli stati dell'”Asse del Bene”? Che qualcuno stia pensando di usarle per esportare la democrazia proprio in Iran?

Era naturale, peraltro, che i delegati di una decina di paesi – tra cui, casualmente, l'Italia – siano usciti in segno di protesta (per cosa non è dato sapere).
Una cosa è certa: protesta o no, ha speso più parole il presidente iraniano sul nucleare made in Italì che non l'insieme di personaggi che, almeno sulla carta, formerebbero l'opposizione.

E mi sa che quasi quasi alle prossime elezioni...