Lasciatela, quest'Italia, agli italiani


«Andatevene». «Queste bestie non devono più stare a Rosarno».
È l'ora di smetterla con questa storia buonista dell'accoglienza “sempre e comunque” di nigeriani, marocchini, maghrebini, ghanesi. E ci aggiungerei anche di polacchi, moldavi, albanesi. Tutti. Ve ne dovete andare da questo paese. Lasciatela agli italiani, l'Italia. Lasciatelo marcire in mano nostra questo paese, così come i vostri padroni faranno marcire le arance che non racoglieranno.
Lasciatela marcire in mano a chi difende la criminalità organizzata non sapendo – o non volendo sapere – che le vittime della 'ndrangheta, della camorra, della mafia non siete solo voi, sfruttati nei campi o nei cantieri, ma tutti, cittadini italiani inclusi. C'è una parola, in italiano, che indica quel coraggio che gli italiani non hanno. Questa parola è omertà, ed indica una delle più grandi infamie che un popolo di poveri possa fare verso altri poveri. Omertà indica anche quel coraggio che noi non abbiamo più. Quello stesso coraggio che vi spinge ad attraversare il deserto con quell'unico bagaglio di sogni e speranze che noi avevamo quando, molti anni fa, facevamo le “bestie” per gli americani o per qualche altro paese che aveva fatto il salto prima di noi.
Quello stesso coraggio che vi permette, se riuscite ad uscire vivi dal deserto, di attraversare il Mediterraneo su quei gommoni che molto spesso non si sa come facciano a fare un metro, figuriamoci ad attraversare il Mediterraneo! Quello stesso coraggio che, una volta passato questo inferno, vi fa diventare schiavi per un materasso in un silos. Noi questo coraggio l'abbiamo perso, da molto tempo. Perché? Perché noi siamo solo dei pezzenti arricchiti. Dei poveri che, per fortuna geografica, per l'assenza di guerre sul territorio o per qualche altra cosa che può passare sotto il termine fortuna hanno fatto il salto. Da servi a padroni. O padroncini, come nel nostro caso.

Per come va il mondo i poveri siete considerati voi. Ma non lo siete. Anzi, siete ricchissimi. Perché voi rischiate tutti i giorni la vostra vita mentre noi ci siamo dimenticati com'è l'odore della terra lavorata per 12-15 ore al giorno per un tozzo di pane ed una goccia d'olio. Abbiamo dimenticato cosa vuol dire lasciare il proprio paese, il posto in cui si sono costruiti nel tempo gli affetti, le gioie, i dolori, ed andare in un posto diverso, solo per provare a prendersi un po' di quella fortuna che a qualcuno viene data solo perché nato con un destino diverso dal vostro, la cosiddetta buona stella.
No, non siete voi i “poveri”, voi che spesso venite a raccogliere le nostre arance pur sapendo parlare più lingue di quante noi riusciamo ad elencarne, pur avendo più lauree di chi, in questo angolo di mondo, si definisce “intellettuale”.
I veri poveri siamo noi, noi che abbiamo dimenticato che molto tempo fa quelli che

«Non amano l'acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. Fanno molti figli che faticano a mantenere e che vengono utilizzati per chiedere l'elemosina, insieme a donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani che, davanti alle chiese, invocano pietà con toni lamentosi e petulanti. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolitati, violenti. Le nostre donne li evitano non solo perché poco attraenti e selvatici, ma perché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro.»
come dicevano all'Ispettorato per l'immigrazione americano nel 1912, quasi 100 anni fa eravamo proprio noi.
No,i poveri non siete voi, costretti a vivere con un pezzo di carta in mano che vi dice se potete ancora essere vivi o se dovete essere morti. Perché “i flussi” sono così. Secondo la legge il vostro status di anime in pena, in bilico tra la vita (il rinnovo del permesso di soggiorno) e la morte (l'espulsione) deve durare 20 giorni. In questo paese in cui tutto va al contrario la media, nelle questure, è di 101 giorni. Vivere in questo limbo per tutto questo tempo dev'essere disumano. 101 giorni. Tre mesi e poco più senza sapere se si può continuare ad essere sfruttati in Italia o se si verrà rimpatriati, e non interessa se qua in Italia ci vivete da anni, avete un lavoro, una famiglia, dei figli. È la legge. E la legge, con i deboli, non conosce deroghe.
Se vivi o muori lo decide un pezzo di carta. Anche la roulette russa si evolve.

Ma noi non siamo cattivi, noi siamo gente per bene, e non importa se a Rosarno per anni ci si è arricchiti con le arance di carta, la truffa dei “latifondisti” calabresi per prendere gli aiuti dell'Unione Europea. E non importa se le arance raccolte sono cento, duecento quintali, magicamente ne dichiariamo un migliaio, un migliaio e mezzo e anche quest'anno abbiamo trovato come svernare. Noi siamo gente onesta, quella stessa gente che vi prende a lavorare, “in prova” naturalmente, vi fa fare il lavoro e poi: «No, guarda. Non ti posso prendere, ti sembra questo il modo di lavorare?» e non vi paga. È questa l'onestà no?

E non importa se questo modo di fare è pienamente – e volutamente – illegale. La colpa, come dicono dal governo, è che una certa politica ha fatto entrare tutti, ma proprio tutti. È la troppa tolleranza nei confronti dell'immigrazione clandestina. La colpa non è di chi vi prende a lavorare a 2 euro all'ora e che ora vi denuncia perché i rumeni prendono 50 centesimi e convengono di più, anche se la legge dice che se prendesse un italiano dovrebbe dargli 6,20 euro. Ecco perché non c'è più un italiano a raccogliere i pomodori o le arance...
E non importa se è illegale che chi vi dà il lavoro non vi metta in regola, e se gli chiedete di farlo vi picchia e vi denuncia. Secondo la legge in vigore, la Bossi-Fini, se vi denuncia a voi toccano quattro anni di carcere, a lui che vi sfrutta al massimo tre. Sempre se riescono ad accertare che lui vi fa lavorare in nero, perché non esiste, in Italia, il “Contratto Collettivo Nazionale per il Lavoro Nero”. Il caporale poi, quello a cui dovete dare 5 euro della paga giornaliera per quel fetentissimo posto in cui vi fa dormire, a lui va ancora meglio: in Italia non esiste il reato di caporalato.

Siamo gente onesta, noi. E onestamente guardiamo dall'altra parte quando il nostro premier si inginocchia davanti al leader libico, regalandogli un'autostrada e un sacco di soldi per farvi uccidere nel deserto. Il deserto non è territorio italiano, quindi non ci interessa.
Siamo gente onesta, noi. E onestamente guardiamo dall'altra parte quando lasciamo che le istituzioni siano piene di gente della criminalità organizzata, o che ha rapporti stretti con essa. Quelli ammazzano, mica possiamo rischiare la pelle. Di Peppino Impastato, Giuseppe Fava, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino ne nascono solo una manciata a secolo, e i nostri li abbiamo già tutti esauriti in quello scorso.
Siamo gente onesta, noi. Noi che quotidianamente ci rendiamo correi di omicidi di massa, perché permettiamo che vi ammazzino in mare o, appunto, nel deserto. E se qualcuno lancia qualche slogan idiota, come «spariamo sulle carrette del mare!» la classifichiamo come bravata, anche se a dirlo è l'allora Presidente della Camera dei Deputati.

Per questo vi dico andate via, lasciate questo paese. Andate in Francia, ad esempio, dove un giocatore di colore nella nazionale di calcio non è un abominio di cui riempire le prime pagine dei quotidiani per settimane. Andate dove vi pare, perché per voi ogni paese è meglio dell'Italia. Lasciatela, quest'Italia, agli italiani.


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Questo è un video, arrivato a L'Espresso, registrato nel deserto del Sahara che testimonia la sorte dei migranti respinti dalla Libia verso il deserto in base agli accordi tra Berlusconi e Gheddafi: ragazzi abbandonati nella sabbia fino a morire, come da molto tempo testimonia Fabrizio Gatti.