E anarchici distratti caduti giù dalle finestre.

Strana storia quella degli anni '60 italiani.
Strana storia in particolare se ti capita di essere un anarchico e di abitare a Milano.
Perché ti può capitare, se sei un anarchico milanese, di entrare dalla porta di una questura e di uscirne dalla finestra. Del quarto piano.

«Penso al 12 Dicembre '69, allo stato delle stragi, allo stato delle trame» canta il gruppo napoletano della 99 Posse in “Odio/Rappresaglia”.

Ma cos'era successo quel 12 dicembre 1969?

17 persone morte ed 88 ferite. È questo il bilancio della bomba – contenuta in una borsa di pelle di colore nero posta sotto uno dei tavoli presenti nei locali della banca – esplosa alla Banca Nazionale dell'Agricoltura. Ore 16:37, venerdì 12 dicembre 1969. Piazza Fontana, Milano.

È un anno movimentato, il 1969. È l'anno di Jan Palach, lo studente cecoslovacco che si dà fuoco in piazza San Venceslao per protestare contro l'invasione sovietica della Cecoslovacchia; è l'anno di Woodstock e dello sbarco sulla luna. Ed è – in Italia – l'anno degli anarchici.
Il 25 Aprile infatti, due bombe ad alto potenziale scoppiano presso lo stand della FIAT alla Fiera campionaria e all'ufficio cambi della Banca nazionale delle comunicazioni, presso la stazione centrale.
Per le due bombe viene accusato un gruppo di anarchici, poi tutti scagionati.

È l'anno degli anarchici, il 1969 dicevamo.
È l'anno degli anarchici perché il primo ad essere incolpato della c.d. Strage di Piazza Fontana è Giuseppe Pinelli, militante del Circolo anarchico Ponte della Ghisolfa, già fermato per gli attentati di aprile.
Pinelli, dunque, non è sconosciuto alla questura. E non è sconosciuto neanche a chi deve occuparsi di interrogarlo, in particolare a Luigi Calabresi, commissario e vice-responsabile della squadra politica proprio alla questura milanese. I due si conoscono più di quel che possa sembrare, se è vero – come ci dice Adriano Sofri in “La notte che Pinelli” - che i due si scambiano consuetudinalmente regali per il Natale. Se così non fosse, se Pinelli non fosse davvero così conosciuto, non si spiegherebbe perché una volta fermato gli viene data la possibilità di seguire la volante della polizia con la sua bicicletta.

È il 12 dicembre. Lo sanno tutti che Pinelli è innocente. Perché quello di mettere le bombe non è il suo stile, ma la pista anarchica è l'unica pista che in quei concitati giorni viene seguita. Perché non c'erano prove verso altri o perché qualcuno, qualche “entità particolare” aveva dato l'input di seguire solo la “solita” pista anarchica? Non si sa. Si sa solo che 4 giorni dopo il fermo di Pinelli viene arrestato Pietro Valpreda, il ballerino Valpreda. L'uomo che secondo Cornelio Rolandi, il tassista che sarà il teste principale di quei giorni, è sceso dal suo taxi davanti alla Banca con una grossa borsa nera, come quella che verrà rinvenuta vicino alla voragine nei locali dell'istituto bancario. O forse no. Forse Rolandi non ricorda bene, forse è stanco dal lavoro. Perché prima dice che sicuramente è Valpreda l'uomo della valigia – tanto da far titolare al Corriere della Sera che “il mostro” era stato catturato – ma poi dice che sì, Valpreda c'era in piazza Fontana, ma senza valigetta.
La pista anarchica perde così il fulcro sul quale si basava. E forse è il momento di guardare da qualche altra parte. Però...

Però il giorno prima dell'arresto di Valpreda è successa quella cosa.
È successo che Pinelli è volato giù dal quarto piano della questura. Si è suicidato, dicono.
Era alle strette Pinelli, stava per crollare e, per non parlare, ha preso la rincorsa e con abilità ginnica estrema ha scavalcato con un salto la ringhiera di 92 cm. Non è una cosa da tutti. In particolare se, in una stanza di 4 metri e 40 cm per 3 metri e mezzo, devi prendere la rincorsa evitando una scrivania, uno scaffale libreria, un termosifone, una stufa, un mobiletto portatelefono, uno scaffale per la macchina da scrivere, un attaccapanni, una poltroncina e due,tre, forse quattro sedie. E poi c'è la finestra: oltre ai 92 centimetri della ringhiera, c'è anche da considerare che solo il battente di sinistra era aperto (spazio quindi di 60 cm) – perché quel giorno faceva caldo, a Milano. O forse perché in quella stanza stavano fumando – cosa che rende ancora più difficile l'operazione di salto. Ah, e poi ovviamente bisognava evitare gli uomini presenti nella stanza.

Insomma: Pinelli non si è buttato da solo dalla finestra. E tantomeno può avere valore la tesi del malore, perché se ti senti male non hai le forze per aprire una finestra. Ed ovviamente gettarti di sotto.

Assodato che Pinelli e Valpreda erano innocenti, e quindi – anche in questo caso – la pista anarchica era da scartare, chi è stato a mettere la bomba in piazza Fontana?

Il 14 Novembre 1974 Pier Paolo Pasolini, sul Corriere della Sera, scriveva il famoso articolo che iniziava con “Io so” - ripreso anche meravigliosamente nel film “Ilaria Alpi: il più crudele dei giorni”, ma questa è un'altra storia...
C'è qualcun'altro, in quel periodo, che avrebbe potuto scrivere quelle due parole: io so.
Si chiama Vittorio Ambrosini, è un avvocato e giornalista vicino ai futuristi che ha fatto il capitano degli Arditi durante la prima guerra mondiale. Non ha dubbi Ambrosini: a mettere le bombe in piazza Fontana sono stati quelli di Ordine Nuovo, tesi che diverrà preminente quando si scoprirà la provenienza delle borse usate per contenere l'esplosivo (acquistate a Padova) e del timer di una lavatrice utilizzati per l'esplosione. Sarà Guido Lorenzon, segretario di una sezione Dc di Treviso, a fare per primo il nome di Giovanni Ventura. Giovanni Ventura e Franco Freda, editori neofascisti, diventano i nuovi accusati delle bombe a piazza Fontana. E guardacaso, sia Giovanni Ventura che Franco Freda appartengono proprio al gruppo degli ordinovisti.
Da questo momento in poi finiscono le “certezze” sulla strage di piazza Fontana. Perché, ad esempio, ci sono rapporti particolarmente vicini tra alcuni uomini dell'estremismo nero e uomini del SID (Servizio Informazioni Difesa), in particolare nelle persone di Giovanni Ventura e Guido Giannettini che poi scapperà in Francia e poi in Argentina, dove si consegnerà all'ambasciata italiana nel 1974. Si scoprirà poi, grazie alla “bocca della contro-verità italiana” Giulio Andreotti che Giannettini è stato fatto espatriare coperto proprio dai servizi segreti. Quegli stessi servizi che, nelle persone del generale Gian Adelio Maletti e del capitano Antonio La Bruna, tenteranno di far evadere Giovanni Ventura, cosa che gli costerà – insieme a tanti altri reati – l'arresto nel 1976. Il 21 maggio 1981, l'ufficio stampa della Presidenza del Consiglio diffonde la “famosa” lista degli iscritti della loggia massonica Propaganda2 (meglio nota come P2). Tra gli iscritti compariranno proprio i nomi di Maletti (numero di fascicolo 499) e La Bruna (502), che però si diranno sempre estranei alla loggia.
Che ci fossero i servizi segreti dietro alla mano “nera”?

A voler studiare la storia di quegli anni, a volerla studiare approfonditamente, si ha sempre l'impressione che quel che si sta leggendo, che si sta studiando, non sia qualcosa di realmente accaduto, qualcosa da libro di storia ma che piazza Fontana, il terrorismo nero, i servizi segreti deviati, facciano parte di un grande libro di finzione. Di quelle spy-story alla 007, per capirci. Quelle storie fatte di complotti di Stato e di Stati contro altri Stati. Peccato che poi le bombe, i morti ti facciano capire che tutto quel che è successo non è frutto della fantasia di qualche brillante scrittore, ma è la realtà.

Quella realtà fatta, ad esempio dei trentatre “non ricordo” pronunciati dall'allora Presidente del Consiglio Andreotti il 18 gennaio 1977 in merito alle circostanze per cui venne posto il segreto politico-militare sulla posizione di Giannettini, rendendo così impossibile l'operato d'indagine degli inquirenti.
La realtà. Forse l'unica cosa a cui in quegli anni difficilmente si riusciva ad arrivare nelle indagini sulla c.d. strategia della tensione.

In un'intervista a Repubblica del 2000, Maletti “aprirà” la “pista internazionale”:
«La Cia voleva creare attraverso la rinascita di un nazionalismo esasperato e con il contributo dell'estrema destra, Ordine nuovo in particolare, l'arresto del generale scivolamento verso sinistra. Questo è il presupposto di base della strategia della tensione (...)».
“Pista internazionale” che sarà poi ripresa per la strage alla stazione di Bologna, quando il senatore a vita – ed ex Presidente della Repubblica – Francesco Cossiga ipotizzerà il coinvolgimento del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina e del gruppo Separat di Ilich Ramirez Sanchez, noto come il “comandante Carlos”.

Dopo circa 40 anni da quegli avvenimenti non si può iniziare a parlare di quelle stragi con la frase “la verità è:”, perché una verità accertata, una verità riscontrabile (nelle carte processuali, ad esempio) non c'è. Si sanno ormai nomi, fatti, luoghi e retroscena di quel che fu la strategia della tensione, con tutto il corollario di terrorismi rossi e neri, ma in questo paese di campanilismi sportivi e politici, c'è ancora qualcuno convinto che le bombe in piazza e quelle sui treni le abbiano messe i “rossi”.